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Il demone di Platone ne: “ Il divino Platone. Filosofia e misticismo” di Stefano Cazzato, Moretti&Vitali.

di Nicola Cotrone

Con questo saggio, strutturato in dieci Capitoli, Stefano Cazzato (dopo Dialogo con Platone, Una storia platonica e Il racconto del Timeo) è al suo quarto confronto con Platone. Vicino inizialmente alla poesia, la sua vera passione, Platone si è avvicinato alla filosofia quasi temporaneamente per “andare a fondo delle cose”. Il rapporto con il suo maestro Socrate ha poi determinato l’apertura verso il mondo, verso l’indagine razionale, verso la conoscenza dell’animo umano e delle sue virtù, ma, al tempo stesso, ha finito per deteriorare «il suo sé, […] la sua disposizione verso certe trascendenze, la sua profonda religiosità» (p. 21).

Per Platone il raggiungimento del “vero” non è fondato su processi logici, ma sul recupero, sulla riappropriazione, sulla memoria, sul ricongiungimento con l’idea originale.

Il caso dello schiavo, che nel Menone, guidato con le giuste domande, riesce a risolvere un complesso problema di geometria è la conferma che attraverso la reminiscenza chiunque, indipendentemente dal suo stato, possa riuscire a “trovare dentro di sé la verità”.

Nella Lettera Settima Platone – come mette in evidenza l’autore nella sua disamina – analizza il paradosso secondo il quale l’anima anela e tenta di raggiungere l’essenza, ma le argomentazioni razionali dell’uomo «le mostrano “ciò che essa non cerca”» (p. 29).

Ed è qui, a nostro parere, un aspetto di novità che Stefano Cazzato mette in luce nel suo lavoro quando, ponendo la sua attenzione sull’amore, cerca una possibile soluzione al paradosso descritto. L’amore è quella «tensione metafisica verso qualcosa che non compare all’orizzonte ma, se compare, lo fa fuori dell’orizzonte delle attese» (p. 44). Come afferma Socrate l’amore è il desiderio di ciò che “ancora non si possiede” perché, come per un oggetto, se lo si avesse certamente non se ne sentirebbe più la necessità. Pertanto l’amore è imperniato sulla dimensione della mancanza che non è mai pienezza. La stessa che l’amante sperimenta – facendone la ragione della sua esistenza – perché vive l’attesa come «il non ancora del non ancora» (p. 44).

È nella natura di Eros aspirare verso l’Altro, identificarsi nell’Altro, cercare l’Altro e realizzarsi nell’Altro, nel quale, comunque, non trova il suo pieno appagamento perché, come acutamente osserva il semiologo francese Roland Barthes in Frammenti di un discorso amoroso (1977), «si ama l’amore più dell’amato stesso. Pertanto l’assenza è particolarmente fertile così come l’attesa dell’amato». L’amore è il demone intermedio tra dio e gli uomini e tra gli immortali e i mortali ed è «per opera di Amore, grazie a un suo intervento, a una sua azione, che l’uomo incontra il bello in sé, anche se questo incontro esige una preparazione terrena […] della quale non tutti sono capaci, un lavoro negativo di scarto, di sottrazione degli ostacoli e degli ingombri per aprire una strada in cui può farsi strada colui che cerca» (p. 45).

Il raggiungimento del bello in sé, attraverso l’amore, rende possibile non la semplice conoscenza ma la «contemplazione iniziatica, il contatto mistico, l’istantanea folgorazione» (p. 46) che mette ancor più in evidenza il divario, la distanza, l’asimmetria tra i discorsi dell’uomo incompleti, imprecisi, sterili e quelli divini e permette all’anima di raggiungere l’essenza senza l’interferenza delle argomentazioni razionali dell’uomo.

Stefano Cazzato, Il divino Platone. Filosofia e misticismo, Introd. di L. Saviani, Moretti & Vitali, Bergamo 2022, pp. 118.

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