Russia, Prigozhin come il barone pazzo: le follie e le glorie.
di Vincenzo Giadina
A chi gli ha chiesto se assomiglia in qualcosa a Rasputin ha risposto: “Non fermo le emorragie, ma verso il sangue dei nemici della Patria”.
L’ex galeotto venditore di hot dog e il barone pazzo. Signori della guerra in lotta per il potere, pronti a rischiare tutto. Evghenij Prigozhin, il capo di Wagner che ha sfidato Vladimir Putin, e Roman von Ungern-Sternberg, l’aristocratico che si credeva reincarnazione di Gengis Khan. Personaggio inafferrabile, forse come oggi Prigozhin: durante la guerra civile russa, il barone fondò il suo Stato personale e andò a caccia dell’oro dello zar custodito in un treno blindato. Ne sa qualcosa Corto Maltese, che lo incontra in Siberia orientale, nella storia ‘Corte Sconta detta Arcana’ disegnata da Hugo Pratt nel 1974.
Tra i due, Prigozhin e Von Ungern-Sternberg, le somiglianze non sono in realtà più delle differenze. Il primo nasce a Leningrado, oggi San Pietroburgo, la città di Putin, mentre il secondo a Graz, nell’allora Impero austroungarico. Entrambi prendono le armi. Prigozhin dopo aver scontato nove anni di carcere per furto e associazione a delinquere ed essersi buttato nel commercio, con gli hot dog e poi un suo ristorante che si aggiudica servizi di catering anche al Cremlino. Il barone, origini baltico-tedesche e passaporto russo, durante la Prima guerra mondiale e poi nel conflitto civile seguito alla rivoluzione bolscevica: sta con i “bianchi” ma pare che anche quelli ne abbiano paura.
Hanno le loro ragioni. Von Ungern-Sternberg decide di mettersi in proprio e forma un esercito di volontari nell’est della Siberia, oltre il lago Bajkal: sono disertori, cosacchi e combattenti delle comunità buriate e jakute, che attaccano sia i convogli dei bolscevichi che quelli dei loro nemici. Gli uomini del barone puntano poi sulla Mongolia, assediano la capitale Urga e il 13 marzo 1921 proclamano una monarchia indipendente. Il barone, descritto allo stesso tempo come un instabile folle, un nazionalista russo e un visionario buddista, giura da sovrano politico e religioso.
Gli scontri con i bolscevichi però non si fermano. Mentre Corto insegue il treno blindato con l’oro zarista, von Ungern-Sternberg si sente investito di una missione: in una vignetta urla, la spada sguainata: “Avanti… alla ricerca delle nostre follie e delle nostre glorie”. Fino alla fine: si racconta che, di fronte al plotone che sta per fucilarlo, ingoia la sua medaglia raffigurante la croce di san Giorgio per impedire che cada nelle mani dei bolscevichi. Perché il barone disprezza il popolo: trova scandaloso che “lavoratori sporchi che non hanno mai avuto propri servi possano avere voce in capitolo nelle decisioni del vasto Impero russo”.
Prigozhin invece non è un aristocratico. Oggi i nazional-bolscevichi eredi di un altro visionario, lo scrittore Eduard Limonov, lo definiscono con sprezzo piuttosto “un oligarca”, un profittatore che divide la Russia e così favorisce il nemico, che oggi è l’Ucraina. Pare che però Putin lo abbia ammirato per la capacità di costruirsi una fortuna dal nulla: con il catering al Cremlino, è arrivato il soprannome di “cuoco” del presidente. Alla guida di Wagner, la milizia privata fondata nel 2014, Prigozhin dice di comandare 25mila uomini e “poi altri 25mila”, pronti “a “marciare e a morire”. È cronaca di questi giorni. Prima di annunciare la sua “marcia di giustizia”, denunciando le inefficienze dell’esercito e accusando lo stesso Putin di aver commesso “un grave errore” nel ritenerlo un traditore, Prigozhin ha respinto paragoni storici. A chi gli ha chiesto se assomiglia in qualcosa a Grigorij Rasputin, il monaco mistico che acquisì influenza alla corte dell’ultimo zar Nicola II pretendendo di curare l’emofilia del figlio, ha risposto: “Non fermo le emorragie, ma verso il sangue dei nemici della Patria“.
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