Per voi il riassunto della diretta del 20 marzo dedicata al Kintsugi.
Buongiorno!
Oggi vi parlo del mio nuovo libro “Kintsugi. Ripara le ferite dell’anima e rendi più prezioso ogni istante della tua vita” che ha già ricevuto tante recensioni positive ed è già ai primi posti delle classiche di vendita per merito vostro.
Vi ringrazio per la vostra fiducia e per il cammino importante che stiamo facendo insieme. Io credo che Kintsugi sia proprio quello di cui oggi abbiamo bisogno: riparare le nostre ferite con l’oro della consapevolezza, sia perché in questa società abbiamo bisogno di tanta consapevolezza, sia perché ci sono tante ferite, il mondo è ferito, tutto quello che è accaduto e che sta accadendo, le guerre, la violenza ci hanno ferito profondamente.
Abbiamo vissuto per tanto tempo pensando alla guerra come qualcosa di lontano da noi e oggi ce l’abbiamo alle porte; è qualcosa che ci fa paura, che ci parla di un aspetto dell’essere umano tremendo, con cui non possiamo non confrontarci perché se lo proiettiamo fuori di noi è perché in qualche modo è anche dentro di noi.
Lunedì scorso vi ho parlato della prima legge del Kintsugi che consiste nell’imparare ad utilizzare, come dice Naropa, i dolori, i disagi, i disturbi, i problemi e persino le malattie e la morte come strumenti per progredire lungo il sentiero e quindi comprendere ad un livello molto profondo, corporeo, cellulare che il dolore non ha lo scopo di farci soffrire ma è una forza, è una chiamata Intesa a risvegliarci.
Effettivamente il dolore è il momento del risveglio dell’anima. Il problema è sempre quella parte della mente, la ratio, che è fatta di regole, di leggi, di scale di valori, la mente comune. Questa civiltà ci ha insegnato a mettere tutto il bene nella ragione e tutto il male nell’anima; l’anima è la dimensione dell’eterno femmineo, della notte, dell’invisibilità, dell’underworld, dell’oscurità che non è assenza di luce. L’anima è una dimensione ctonia, sotterranea e quando si risveglia la mente, che è una lama che divide, analizza e giudica si spegne, perché l’anima è non dualità; quindi la mente ci ha programmati a giudicare male ogni minimo risveglio dell’anima e appena percepiamo l’anima nel corpo o nella psiche siamo abituati a dire: “Mi fa male!”
Ma in verità è l’anima che si risveglia. Il punto è che la mente condiziona i nostri sensi: vedere, sentire, toccare, odorare, gustare sono operazioni mentali e la mente ci costringere a percepire come male anche ciò che non lo è e quindi ci fa sempre fare l’esperienza della vittima e ci spinge a reprimere la potenza dell’anima nel momento del risveglio.
Nel Kintsugi e nello Yoga Giapponese ci sono pratiche che derivano dal Bushido, l’arte della guerra giapponese. L’arte della guerra in Giappone è un’arte fortemente spirituale; d’altra parte il kintsugi l’ha inventato un samurai nel 1400, uno Shogun a cui si era rotto il servizio da tè che ha voluto far riparare con l’oro.
Nel Kintsugi e nello yoga giapponese apprendiamo tecniche e meditazioni che ci aiutano a comprendere che il dolore è anima e non ha lo scopo di farci soffrire, è una chiamata.
Grazie a queste pratiche riusciamo a liberarci dall’ipnosi esercitata dalla mente, da questo inganno della coscienza e a percepire quello che la mente chiama dolore senza etichette mentali. Allora non possiamo evitare di sentire che il dolore è pura forza, pura energia ed è l’anima, la chiamata dell’anima e iniziamo veramente a ribaltare tutti i valori mentali e a procedere verso la libertà, che è anche felicità e serendipità, cioè capacità di far accadere eventi fortunati e inaspettati dalla mente.
Oggi ci occupiamo della seconda legge del Kintsugi che è rompere le regole.
La mente, in particolare la ratio, funzionando sul principio del bene del male, del giusto e dello sbagliato, del vero e del falso, del buono e del cattivo crea delle teorie che ci rendono vittime. Come diceva James Hillman: “Noi siamo vittime delle teorie prima ancora che vengano messe in pratica!”
Le teorie si fondano sulle credenze mentali: la credenza che questo sia giusto e quest’altro sbagliato, che una cosa sia buona e l’altra cattiva, le credenze riguardo a ciò che è sano, a cos’è la salute e così via.
Dalle credenze si formano le teorie e dalle teorie nascono gli arconti, le norme, le leggi, le regole che sono prima di tutto dei tabù interni e poi si proiettano all’esterno di noi sotto forma di regole sociali.
Ovviamente ad un certo stadio di inconsapevolezza la specie ha bisogno di questo per creare una comunità, una civiltà. Il problema nasce quando l’essere umano perde consapevolezza del fatto che queste regole sono finalizzate unicamente a creare una civiltà, una società e quindi sono finalizzate alla governabilità degli individui ma non sono autentiche, non sono reali, non sono naturali e che anche le civiltà, come tutte le cose, devono poter evolvere e l’evoluzione di un individuo, così come di una civiltà, avviene grazie al superamento della regola.
Quando perdiamo consapevolezza di questo cadiamo vittime degli acconti e combiniamo un disastro; diventiamo vittime degli acconti, le norme, le leggi, le regole che sono il nostro stesso riflesso e succede che nella nostra quotidianità ci possiamo trovare di fronte ad una legge, una regola che è il riflesso di un limite istituito internamente dalla mente per governarci, per contenere l’anima e troviamo la regola riflessa nel mondo per poterla riconoscere dentro di noi e poterla rompere.
La seconda legge del Kintsugi “è rompi la regola, vai oltre la legge”.
Questo è il grande tabù della nostra società, che è la società del controllo per cui nessuno è al di sopra della legge. Ma l’anima è al di sopra della legge e fintanto che non comprenderemo questo avremo sempre una società squilibratamente patricentrica, in lotta con l’anima, tesa a reprimere l’anima, a reprimere il femminile.
Per questo dobbiamo avere la forza di rompere la legge quando serve in nome del nostro ideale, non di una ideologia. L’ideologia proviene proprio dall’applicazione delle teorie, delle credenze, delle leggi, delle norme; è il frutto di accordi. L’ideale é il dio, è il divino. L’ideale è sempre qualcosa che trascende il nostro io, che si serve dell’io, della mente, del corpo e dell’emotività ma trascende tutti questi veicoli.
L’ideale è qualcosa che trascende il nostro io e può anche essere molto semplice: per un nonno può essere accompagnare il nipotino a scuola tutti i giorni.
Mi accorgo che le persone a volte hanno paura di percepire il loro ideale, hanno paura di sentire vibrare l’ideale, allo stesso modo in cui hanno paura dell’anima perché sono condizionate dalla mente.
Ieri a San Giuliano parlavo con una ragazza che diceva: “Non riesco a farmi pagare per il mio lavoro. Il mio lavoro mi piace tantissimo ma non riesco a guadagnare perché non riesco a farmi pagare e quindi non mi sento realizzata.”
Le ho chiesto allora cosa volesse, cosa chiedesse alla bacchetta magica.
Ha risposto: “Vorrei guadagnare più soldi”.
Al che le ho detto: “Benissimo, vuoi guadagnare di più, vuoi l’abbondanza, la prosperità, la ricchezza”.
Lei ha continuato dicendo: “A me basterebbe ottenere il giusto riconoscimento del mio lavoro!”
Capite cosa fa la mente? Seguitemi bene.
L’anima è, come diceva Adler, pura aspirazione ad emergere perché è aspirazione evolutiva, aspirazione all’amore, aspirazione al Divino che si manifesta in tutti i nostri piccoli e grandi obiettivi quotidiani. L’anima vuole conquistare ciò che le spetta di diritto. La natura è prosperità e abbondanza e l’anima aspira a questa condizione naturale di prosperità e abbondanza, ma la mente subito riduce l’aspirazione, la rimpicciolisce, quasi che aspirare alla prosperità sia qualcosa di cui dobbiamo vergognarci.
Pensate a quanto siamo condizionati!
Dobbiamo avere persino vergogna, paura, provare imbarazzo nell’esprimere una volontà dell’anima che è naturale perché l’anima aspira a mostrare la sua condizione naturale che è prosperità, abbondanza, ricchezza.
Quindi la ragazza in questione si vergogna della sua aspirazione a diventare ricca e si accontenta dicendo: ”basta che venga riconosciuto il mio lavoro!” La mente prende un’aspirazione dell’anima, grandiosa, meravigliosa, questa aspirazione che trascende la dimensione dell’io e la riduce alla dimensione dell’io dicendo: “A me basta che il mio lavoro venga riconosciuto, cioè che il mio io venga riconosciuto!”
La mente ha fatto di un’aspirazione universale qualcosa di assolutamente individualistico, questa mente che riduce, sciupa e limita l’aspirazione dell’anima e la riduce al senso dell’io, perché la mente è l’io.
In questo modo il tuo obiettivo non si realizzerà mai perché l’io è una struttura fittizia, è un inganno della coscienza e quindi non ha la forza, la possibilità, l’energia per realizzare alcun obiettivo.
Devi desiderare con l’anima, non con l’io, e l’anima ha sempre obiettivi meravigliosi che trascendono l’io. L’anima sa che l’abbondanza è illimitata e che la ricchezza non è possesso ma è un continuo investimento. La persona ricca non è la persona che possiede: se possedesse diventerebbe povera. È la persona che continuamente investe: l’economia funziona così.
Potenzialmente la prosperità è illimitata per cui non è che quando uno diventa ricco tolga qualcosa a chi non vive nella prosperità, basta avere dei rudimenti di economia per comprenderlo.
Quindi aspirare alla ricchezza è un’aspirazione dell’anima, oltretutto nel lottare per arrivare a questo obiettivo l’anima risveglia doti, talenti, capacità che poi le servono per la missione finale che è la libertà.
Sri Aurobindo affermava che le persone spirituali non solo dovrebbero volere conquistare il potere del denaro, come lo chiamava lui, ma devono sentire che è un compito che svolgono per la Madre. Aurobindo diceva che spesso le persone spirituali considerano il denaro una cosa sporca, non spirituale e questo è un gravissimo errore che lascia il potere del denaro nelle mani dell’Asura. Dobbiamo riconquistare il potere del denaro per rimetterlo nelle mani della Grande Madre alla quale tutte le risorse, tutte le ricchezze appartengono fin dall’origine.
Noi siamo solo fedeli amministratori di ricchezze che non sono nostre, che appartengono alla Grande Madre e in questo nostro amministrare se non abbiamo tabù, se non siamo vittime dell’io, se non siamo vittime della morale utilitaristica della mente e del potere sociale, possiamo vivere nella prosperità, nell’abbondanza, amministrando ciò che consapevolmente sappiamo non essere nostro e che dobbiamo restituire.
Nulla ci costringe a vivere nella frustrazione, nella povertà; nulla ci vieta di vivere nell’abbondanza. Questa è l’aspirazione dell’anima e più viviamo nella prosperità più rispettiamo la condizione naturale, divina, dell’esistenza.
Allora cosa deve fare questa ragazza?
Deve rompere una regola, infrangere una legge che è interna che si manifesta all’esterno nella società perché noi viviamo in una società, in una civiltà dove il ricco ha sempre sbagliato qualcosa, è sempre sbagliato.
Se continuate a pensare in questo modo non diventerete mai ricchi e questo, secondo Aurobindo, è un gravissimo errore che lascia il potere del denaro nelle mani dell’Asura.
Quindi bisogna infrangere una legge, bisogna infrangere una regola che ci siamo dati. Si tratta di una regola tremenda che porta alla violenza perché porta al furto, perché chi è convinto di essere incapace di conquistare l’abbondanza finisce per rubare, pensando che quello sia l’unico modo per conquistare la ricchezza.
Quindi dobbiamo avere il coraggio di infrangere le norme, i tabù, le credenze che sono dentro di noi e che poi si riflettono fuori di noi.
Nel libro faccio l’esempio di quando dovevo andare a prendere James Hillman a Malpensa per portarlo a Monte Verità per una conferenza da cui è nato un libro che ha illuminato molte persone.
Ero già un po’ in ritardo ma in dogana c’era una coda chilometrica che decido di saltare scegliendo la corsia della dogana commerciale, cosa non consentita perché alla dogana commerciale possono andare solo i camion che hanno merci da dichiarare.
Decido di saltare la lunga coda, la polizia mi ferma e mi ritrovo con molti altri che avevano fatto come me, tutti spaventati in coda, fermi ad aspettare che il poliziotto bussasse al vetro per dare la multa.
Io sono scesa dalla macchina, ho saltato anche quella fila, sono andata dal poliziotto e gli ho detto:” Senta io gliela pago dieci volte la multa, mi lasci andare; devo arrivare in aeroporto e sono in ritardo. La prego mi mandi a casa il conto, io pago la multa dieci volte non una, però ora devo andare.”
Il poliziotto mi guarda con uno sguardo stupito e cattivo e mi intima di salire in macchina. Io lo faccio e poi il poliziotto arriva da me, saltando anche lui la coda, e mi dice: “Esca dalla dogana commerciale e quando arriva dai miei colleghi dica che l’ho fatta uscire io!”
E così sono potuta andare, sono arrivata in tempo e la conferenza è stata bellissima!
Quindi bisogna avere il coraggio di infrangere la legge, la regola, il coraggio di vivere con la consapevolezza che non è vero che niente e nessuno è al di sopra della legge; la legge l’hanno fatta gli uomini e l’anima è al di sopra della legge perché questo mondo non appartiene agli stati, ai governi, agli imperatori. Questo mondo appartiene all’anima e l’anima è al di sopra della legge umana e quindi in nome dell’ideale tu devi essere capace di rompere la regola ma per fare questo devi essere libero dentro, perché se non sei libero dentro e pretendi di infrangere la regola combini un grande casino di cui poi paghi le conseguenze in prima persona.
Devi comprendere che la legge, la regola esterna è il riflesso di credenze che hai dentro e che ogni volta che ti scontri con una legge, con una regola fuori di te è perché non sei stato capace di riconoscere dentro di te la credenza che ti limita. Allora l’anima te l’ha proiettata all’esterno in modo che potessi vederla e superarla.
Quindi quando incontri fuori di te una legge che ti limita è perché non hai riconosciuto dentro di te il condizionamento e questo si è proiettato fuori così che tu possa riconoscerlo. Devi innanzitutto liberarti dentro di te e devi essere sicuro di compiere questo processo in nome di un ideale che trascende il tuo io.
Nel libro Kintsugi ci sono i Pita Nyasa e le meditazioni della forma che ti portano a riconoscere se veramente ti stai muovendo sulla scorta di un ideale.
L’ideale è un obiettivo che trascende il nostro io al quale ciascuno di noi deve tendere con tutte le proprie forze ma senza attaccamento ai frutti.
Come dice la Bhagavad Gita: “Tu hai diritto all’azione ma in nessun modo ai frutti dell’azione poiché essi appartengono al Supremo.”
Eppure nel compiere l’azione devi agire come se l’obiettivo fosse per te una questione di vita o di morte, devi tendere all’obiettivo con tutte le tue forze senza attaccamento per i risultati.
Questa condizione che la mente non può comprendere è una condizione straordinaria, sovramentale.
Per una legge naturale chi ha un ideale è chiamato prima o poi a scontrarsi con una legge, una norma, una regola che deve infrangere.
Questa è la seconda legge del Kintsugi: prima o poi devi rompere
una credenza interiore per rompere una legge esteriore, ma questa frattura va riparata con l’oro della consapevolezza: “so che vado contro la norma e la trascendo perché ho un ideale. Lo faccio in nome dell’anima, in nome della Madre.”
E allora vinci! Infrangi la regola e non solo non vieni punito ma addirittura vinci.
La seconda legge del Kintsugi ti insegna il coraggio, ti insegna a essere disposto a perdere tutto In nome del tuo ideale. Solo chi è disposto a perdere tutto può avere tutto.
Il Kintsugi ti insegna ad essere un vero samurai, che infrange anche le regole fisiche, va oltre le leggi che stabiliscono i limiti del nostro corpo e diventa invincibile!
Vi abbraccio! A presto!