Shireen Abu Akleh, cittadina palestinese e americana, aveva 51 anni e lavorava per l’emittente Al-Jazeera. È morta in un campo profughi a Jenin mentre era al lavoro.
“Mi appello al popolo italiano, al suo Governo e alla stampa di questo Paese, amico della Palestina, perché si mobilitino e si facciano promotori di una iniziativa internazionale capace di far rispondere Israele delle violazioni che ha sin qui commesso impunemente, ponendo termine all’occupazione israeliana della nostra terra”. Lo dichiara in una nota l’ambasciatrice dell’Autorità Palestinese in Italia, Abeer Odeh, commentando l’uccisione della giornalista di Al Jazeera Shireen Abu Akleh, cittadina palestinese e americana che, secondo quanto riferito dall’emittente panaraba per cui lavorava, è stata uccisa in un campo profughi di Jenin da soldati dalle forze di sicurezza israeliane.
“Vi chiediamo di impedire il lento sterminio del nostro popolo – prosegue Odeh -, prevedendo un’azione condivisa di protezione dei nostri civili e in particolare dei nostri giornalisti, bersaglio dei continui crimini delle forze di occupazione israeliane”. La diplomatica ha definito la cronista, 51 anni, “una cara amica. Una persona genuina e una bravissima giornalista” e ha denunciato che la reporter “è stata uccisa a sangue freddo dalle forze di occupazione israeliane, che continuano a massacrare la popolazione palestinese nella totale indifferenza della comunità internazionale”.
Secondo Odeh, la giornalista di Al Jazeera “era entrata nel campo profughi di Jenin per seguire la notizia di un possibile raid dell’esercito israeliano, che notoriamente prende di mira i rifugiati palestinesi. Si trovava lì con il permesso dei militari, che l’avevano lasciata passare senza dire nulla. Non vi erano scontri né disordini. Vi erano soldati israeliani e giornalisti disarmati – ricordiamo il collega del quotidiano Al-Quds ferito – che indossavano il giubbotto identificativo della ‘stampa’ e facevano il loro lavoro”.
Un lavoro questo, secondo l’ambasciatrice palestinese, “che la potenza occupante soffoca ricorrendo anche alla violenza per mettere a tacere chi cerca di fare luce sui suoi crimini: sono più di 100 i giornalisti palestinesi uccisi da Israele durante l’occupazione più lunga del mondo, cominciata nel 1967″.
GUTIERREZ: “ALEKH UCCISA NONOSTANTE LA SCRITTA ‘PRESS’“
“È scioccante pensare alla possibilità che la giornalista Shireen Abu Akleh sia stata uccisa a Jenin da un colpo d’arma da fuoco deliberatamente esploso. Saremmo in presenza di un crimine. Bisogna indagare subito le cause di questa morte nonché le circostanze in cui è rimasto ferito almeno un altro giornalista, e portare davanti alla giustizia i responsabili”. Lo ha detto RicardoGutierrez, segretario generale della Federazione europea dei giornalisti (Efj), commentando per l’agenzia Dire l’uccisione della giornalista palestino-statunitense di Al Jazeera avvenuta stamani in un campo profughi nei pressi di Jenin, in Cisgiordania.
Gutierrez sottolinea che la reporter, 51 anni, volto noto dell’emittente panaraba sin dai tempi della prima intifada palestinese, era arrivata a Jenin con un gruppo di altri sei colleghi e tutti indossavano “l’equipaggiamento protettivo” che “Erano entrati tramite i soldati israeliani che quindi sapevano che c’erano dei cronisti” all’interno del campo.
Al Jazeera ha fatto sapere di aver ricevuto l’ultima comunicazione da parte di Abu Akleh intorno alle 6,13 di questa mattina, in cui la giornalista riferiva di essere nel campo e che da poco era entrato anche l’esercito israeliano per circondare una casa. La cronista ha concluso avvisando che si stava recando verso quell’abitazione per confermare la notizia, e che avrebbe fatto un collegamento televisivo alle 7, ma una volta contattata dai colleghi non ha risposto. Successivamente, la sua redazione ha appreso della sua morte, avvenuta dopo che una pallottola ha raggiunto Abu Akleh alla testa, mentre erano in corso scontri tra l’esercito e uomini armati. Inutile la corsa in ospedale. Anche il cronista della testata Al Quds, Ali Al-Samoudi, è rimasto ferito ma le sue condizioni sono stabili.
Sulle circostanze del decesso è ora in corso uno scambio di accuse: stando ai testimoni rilanciati da Al Jazeera e agli altri cronisti presenti sul posto, erano presenti dei cecchini dell’esercito israeliano sui tetti delle case circostanti. Quando Abu Akleh è scesa dall’auto, un colpo l’ha raggiunta in un punto non coperto dal caschetto protettivo, pertanto l’angolazione dello sparo secondo i testimoni proverebbe la responsabilità dei tiratori, sollevata anche dal ministero della Salute dell’Autorità nazionale palestinese.
Le autorità israeliane, che hanno confermato di aver approvato l’operazione militare nel campo per ragioni di sicurezza, escludono ogni responsabilità e attribuiscono invece lo sparo a “terroristi palestinesi” citando un video che circola sui social network in cui si vedono dei miliziani mentre esplodono alcuni colpi in un vicolo del campo.
Il leader dell’Autorità palestinese Mahmoud Abbas ha dichiarato che la reporter è stata vittima di “un’esecuzione da parte delle Forze israeliane” e ha invocato l’apertura di un’inchiesta. Anche l’ambasciatore americano in Israele, Tom Nides, ha chiesto “un’indagine approfondita sulle circostanze della morte” della connazionale.
Nei giorni scorsi la tensione tra israeliani e palestinesi è tornata a montare, alimentata dall’esproprio di terreni e case dei palestinesi a cui sono seguite proteste, e vari raid delle forze israeliane a Gerusalemme Est e anche nella moschea di Al-Quds mentre fedeli musulmani erano riuniti in preghiera per le festività del Ramadan, con decine di feriti. Si sono registrati anche missili di Hamas da Gaza verso il territorio di Israele e un attentato all’arma bianca in cui sono morti tre israeliani. Nel campo profughi di Jenin, che accoglie 33mila persone e viene sostenuto dall’Unrwa, l’operazione si è resa necessaria perché, secondo le forze israeliane, vi troverebbero rifugio alcuni miliziani palestinesi. Secondo l’agenzia palestinese Wafa stamani, nella casa della famiglia della corrispondente di Al Jazeera, già gremita di parenti e amici giunti dopo la notizia della sua morte, avrebbero fatto irruzione le forze israeliane, che avrebbero sequestrato bandiere palestinesi e vietato canti nazionalistici.
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