Abbiate-Zanardi (Brain&Care): aumentata platea di persone con bisogni psicologici
Rimini, 2 aprile – “La situazione pandemica ha creato un’enorme problematica clinica da un lato slatentizzando quadri disfunzionali già presenti, e dall’altro creando condizioni di sofferenza protratte che hanno definito nuovi quadri clinici. In questo contesto, da valutazioni recenti che raccontano l’impatto della pandemia sulla qualità di vita della popolazione generale, è emersa una problematica specifica data dagli effetti dell’infezione da Covid sul sistema nervoso centrale e, in particolare, sulla cosiddetta ‘Brain Fog’ da Long Covid, ovvero un’alterazione dello stato cognitivo ed emotivo data dall’effetto virale”. A tracciare il quadro è Cristina Abbiate, psicologa e presidente di Brain&Care Group. “Ma esistono anche effetti non diretti- continua Abbiate- pensiamo per esempio alla generazione di preadolescenti e adolescenti che durante i lockdown si è vista ‘espropriata’ di un pezzo di vita sociale e relazionale importante, oppure- continua la psicologa- alla vulnerabilità della terza età in relazione al contagio. Tutto questo ha innescato un quadro di problematicità tale da poter verificare un disturbo post traumatico da stress in intere fette di popolazione e offerto una condizione di stress tale da poter verificare in molti di noi disturbi del sonno, di concentrazione e una sorta di maggior arrendevolezza. Tutti elementi che ci hanno resi più fragili e vulnerabili”.
Il quadro che ci si trova davanti oggi “è un aumento della platea di soggetti con difficoltà con una possibile rilevanza clinica e in questo senso saper offrire un sistema di diagnosi precoce, un intervento mirato e di semplice accessibilità, con un monitoraggio a lungo termine, permette non solo il contenimento del fenomeno ma anche la riduzione dell’impatto sul singolo e sul gruppo famiglia”, sottolinea Gabriele Zanardi, psicoterapeuta e neuropsicologo, responsabile dell’area psicologica di Brain & Care Group e professore presso il dipartimento di Medicina sperimentale e forense dell’ università di Pavia.
Brain & Care Group insieme a LetscomE3 ha organizzato per il 2 aprile, a Rimini, il corso Ecm (residenziale e live streaming) ‘L’approccio clinico integrato e la rTMS in ambito neurologico e psichiatrico’ con l’obiettivo, tra gli altri, di aumentare la conoscenza degli studi sul ruolo della stimolazione magnetica transcranica nel trattamento dei disturbi neuropsichiatrici e favorire un approccio clinico interdisciplinare integrato per il trattamento di queste condizioni. La TMS è una metodica di neuromodulazione cerebrale non invasiva che consente, attraverso la generazione di impulsi elettromagnetici, di modulare l’attività della corteccia cerebrale e determinare una modificazione delle risposte comportamentali dell’individuo.
La necessità di un approccio terapeutico integrato – “L’approccio unilaterale non funziona più- continua Zanardi- perché quello che osserviamo nella medicina dell’evidenza è un sistema polidisfunzionale. Non possiamo più avere un approccio semplicistico e categoriale nelle difficoltà che i nostri pazienti ci portano ma ci deve essere un approccio multidisciplinare integrato perché ciò che noi osserviamo può essere la risposta a un tentativo di compensazione di difficoltà molto profonde ed eterogenee”. Il responsabile dell’area psicologica di Brain & Care Group ricorda come recentemente sia stata sviluppata una teoria “che è stata la base del nostro modello di approccio clinico- dice- questa teoria sostiene che alcuni quadri patologici non sono vere e proprie semplici patologie d’organo ma diventano un’alterazione della allocazione del comportamento. È come dire che il soggetto tende a produrre un comportamento nel tentativo di proteggersi da sofferenze e problematiche e questo comportamento inizialmente dà una risposta positiva e conservativa, ma poi a lungo andare è il comportamento stesso che diventa la problematica. L’esempio che si può fare- continua Zanardi- è la sensazione di piacevolezza che può provare l’adolescente che beve uno spritz con gli amici, peccato però che a lungo termine l’alcol diventi un depressivo. Nel tempo cambia la percezione soggettiva che il soggetto ha del bere e si innescano dei processi per cui sembra che non ci si possa più divertire senza il supporto dato dall’alcol”.
Questa teoria “che definisce un quadro di dipendenza come un disordine dell’allocazione del comportamento- sottolinea ancora lo psicoterapeuta- dice che noi sedimentiamo in memoria alcune risposte comportamentali che ci sembrano adattive ma in realtà diventano disfunzionali e purtroppo imprigionano il soggetto in comportamenti automatici. Per fortuna questo modello ci dà anche la soluzione che è quella di riuscire a sostituire vecchie memorie con nuove memorie. Cioè la possibilità di accompagnare il paziente nella costruzione di un riconoscimento della disfunzionalità di quei comportamenti più o meno automatizzati, disinnescarli e sostituirli con dei comportamenti molto più adattivi. Questo rappresenta la spina dorsale del nostro approccio: il percorso di cura non deve essere esclusivamente legato alla riduzione del sintomo, ma anche nella costruzione di ‘nuove memorie funzionali’ che sappiano sostituirsi alle vecchie patologiche. Qui risiede la novità e la metodologia del nostro approccio, ovvero accompagnare il paziente alla ricostruzione di una nuova ‘identità personale ed emotiva’ cavalcando il processo di miglioramento continuo e progressivo. In questo senso l’approccio integrato serve appunto per andare a modificare tutti quei singoli fattori che costituiscono il quadro patologico”.
Dunque in questo contesto la Stimolazione Magnetica Transcranica, “strumento assolutamente valido e riconosciuto a livello internazionale- dice Zanardi- deve essere affiancata da un approccio psicoterapeutico che riguardi non solo il soggetto ma il gruppo famiglia per un accompagnamento a una modificazione dello stile di vita. Più questo tipo di modificazione si deposita nel soggetto come una traccia amnesica molto forte, più il soggetto avrà delle procedure utili per la conservazione di una qualità di vita più efficace”.
Vulnerabilità e livelli di fragilità – I processi psicologici “fanno capo alla necessità del nostro sistema di adattarsi all’ambiente e di costruire delle relazioni funzionali alla qualità della vita in termini emotivi e cognitivi- continua Abbiate- Nel percorso della nostra esistenza, dalla nascita all’età adulta, i vissuti psicologici definiscono chi siamo e cosa facciamo, le nostre abitudini, parte della nostra identità e anche il modello relazionale che abbiamo appreso durante l’infanzia con la figura di attaccamento. Ovviamente gli eventi stressanti, in base al proprio assetto psicologico, possono predisporre un terreno già fertile a sviluppare difficoltà personali all’interno di una cornice rigida, per esempio possono assumere un quadro psicologico disfunzionale e questo può diventare poi nel tempo una patologia che ha bisogno di un intervento multidisciplinare. Saper leggere questi segni e accoglierli in un processo di cura più allargato ci permette un maggior livello di efficacia terapeutica”.
Nell’ultimo decennio “il concetto di vulnerabilità ha interessato la ricerca nel tentativo di comprendere cause ed effetti di predisposizioni genetiche, alterazioni ambientali e/o comportamentali- evidenzia Zanardi- La definizione più efficace rimane espressa nel concetto di esposoma: la nostra struttura biologica (definita da una eredità genetica stretta) ci porta ad applicare degli engrammi (processi decodificati automatici) che si modificano in relazione alle risposte ambientali, tale interazione ci permette di sviluppare nuove competenze o rafforzare i sistemi già automatizzati. Questo concetto è stato utilizzato per comprendere fenomeni clinici come ad esempio le dipendenze. Una delle domande che ci si è sempre posti è: c’è una possibilità di predire se un soggetto esposto a determinati comportamenti possa più o meno diventarne dipendente? E’ una domanda ancora senza risposta- continua Zanardi- nel senso che non c’è un elemento che definisce una problematica patologica a priori, è l’insieme di determinati elementi che può favorire un quadro di tipo patologico. La nostra vulnerabilità è parte integrante del nostro sistema adattivo, il nostro compito è conservarla in una modalità fisiologica per evitare che possa diventare una vera e propria conformazione patologica”, conclude.