GP Liberazione/Intervista fotografo Tonino Giuliani.
Da oltre quarant’anni Tonino Giuliani è “l’occhio” del Gran Premio Liberazione. Una presenza la sua fondamentale, anzi si potrebbe dire che senza di lui il Liberazione perderebbe molto del suo spirito. Davanti al suo obiettivo (e sottolineiamo che Giuliani non è fotografo di professione) la corsa romana si è evoluta, ha attraversato decenni passando anche di mano, eppure la sua esperienza era nata quasi per caso: “Ero andato a vedere il Liberazione nel ’79, mio fratello che lavorava all’Unità mi disse che serviva un aiuto per il fotografo di allora, per pubblicità e premiazioni, così iniziai senza più fermarmi”.
Il suo archivio fotografico è vastissimo, oltretutto quando la Primavera Ciclistica ha chiuso i battenti, Giuliani ha conservato tutte le stampe, salvando di fatto quello che è un vero patrimonio da digitalizzare piano piano. Come l’archivio, è ricco anche il serbatoio dei ricordi: “Sono tutti legati al Liberazione in comunione con il Giro delle Regioni perché per tantissimi anni si gareggiava a Roma e poi subito via verso il prologo della gara a tappe che si svolgeva già al pomeriggio. Era per squadre nazionali e grazie all’inventiva di Eugenio Bomboni abbiamo davvero girato l’Italia vivendo esperienze uniche, come l’approdo delle bici in Piazza del Campo a Siena vivendo la sera prima la vita delle contrade, oppure la partenza dall’interno dell’Abbazia di Casamari”.
A Bomboni, Giuliani resta profondamente legato: “Era un vulcano di idee. Non lo nascondo, è stato lui il collante che mi ha tenuto legato al Liberazione, era un personaggio unico, come non ne trovi più. Quando ha passato la mano il Liberazione è rapidamente declinato, devo dire che ora sotto la guida di Terenzi si sta riprendendo proprio perché in lui c’è un po’ dello stesso spirito avventuriero”.
Tanti i campioni che l’obiettivo di Giuliani ha immortalato: “E’ chiaro che il cuore è legato a Gianni Bugno, quello di Roma è stato il primo di tanti squilli della carriera di un campione assoluto, ma già lì si vedeva la sua classe cristallina perché era molto veloce. Poi sono rimasto affezionato al Liberazione delle presenze dell’Est europeo quando arrivavano gli squadroni della Ddr e dell’Urss che vincevano tutto. Ricordo ad esempio il Cittì russo Kapitonov, che aveva vinto le Olimpiadi a Roma: era attentissimo e preda anche di piccole fissazioni. I suoi corridori avevano l’abitudine di attaccare sul manubrio la cartina col percorso di gara, lui si raccomandava quando facevo le foto che mettessero la mano sopra, per non far vedere quel che c’era scritto… Poi ricordo il grande Soukhorucenkov, che il Liberazione non l’ha mai vinto, ma era visto davvero come fosse Merckx”.
Nella sua storia Giuliani ha visto anche epocali cambiamenti della gara, come l’avvento dell’attuale circuito: “Ci si è arrivati per gradi. Ricordo una volta il Liberazione disegnato attraverso una gara in linea che toccava Maccarese e Ladispoli, oppure quando, in previsione della possibile organizzazione delle Olimpiadi a Roma, Bomboni sperimentò un circuito più grande, superando i 10 km e toccando anche il Colosseo. Ma creò troppi problemi, col traffico in tilt e la difficoltà per l’attraversamento delle rotaie del tram. Allora si capì che il Liberazione non deve cambiare dalla sua tradizione, il circuito attuale è quello giusto”.