SIMG/SIMIT – Lotta a HIV ed Epatite C in Lazio: la regione responsabile del proprio destino.

       Giovedì 3 febbraio 2022

Urgente incrementare gli accessi ai programmi di prevenzione, le diagnosi precoci e l’emersione del “sommerso” HCV nella coorte dei nati dal 1969 al 1989, nella popolazione carceraria e tra gli utenti dei SERD. Regioni responsabili del proprio futuro sanitario

Lotta a HIV ed Epatite C, si pensa al dopo pandemia: l’azione di SIMG e SIMIT coinvolge anche Umbria e Lazio. Le regioni responsabili dei propri destini

Per effettuare gli screening presso gli studi dei medici di famiglia servono codici precisi, canali preferenziali, un sistema informatico avanzato, automaticità verso il linkage-to-care, immediatezza e semplicità” sottolinea Alessandro Rossi, Responsabile Ufficio di Presidenza della Macro-Area “Patologie Acute” SIMG

Le regioni sono artefici del proprio destino. È quanto emerge all’indomani del ciclo di incontri promossi da SIMG – Società Italiana di Medicina Generale e delle Cure Primarie anche con SIMIT – Società Italiana di Malattie Infettive e Tropicali per favorire la ripresa dei trattamenti per tutti i pazienti rimasti indietro a causa della pandemia. Una situazione che riguarda soprattutto coloro che sono affetti da HIV ed Epatite C. Per contrastarli gli strumenti ci sono: le nuove terapie consentono di eradicare in maniera definitiva, in poche settimane e senza effetti collaterali l’Epatite C. L’HIV invece si può controllare, cronicizzando l’infezione e rendendo la durata e la qualità della vita della popolazione infetta analoga in larga parte a quella della popolazione generale.

IL RUOLO DELLE REGIONI E L’IMPEGNO DI UMBRIA E LAZIO Il ruolo fondamentale oggi per far emergere il “sommerso” dell’Epatite C spetta alle regioni, che hanno in dote i 71,5 milioni di euro stanziati dallo Stato nel 2020. Sulla scia di Piemonte, Liguria ed Emilia-Romagna, che sono già partite, sono pronte a fare la loro parte anche Umbria e Lazio. A questo proposito sono intervenuti nella recente iniziativa nell’ambito del progetto “Alla ricerca del virus”, l’Assessore alla Salute e alle politiche sociali della Regione Umbria Luca Coletto e l’Assessore alla Salute della Regione Lazio Alessio D’amato. Luca Coletto, già Sottosegretario alla Salute nel Governo Conte I, ha evidenziato che, nonostante i rallentamenti della pandemia, l’Umbria abbia mantenuto un buon monitoraggio del territorio, tanto che l’AGENAS ha attestato che si tratta della prima regione per screening in generale. Per l’HCV però resta ancora molto da fare: i fondi disponibili per l’Umbria in base agli stanziamenti statali ammontano a circa 1,1 milioni di euro, mentre la coorte interessata è composta da 244mila soggetti. Gli screening partiranno presto nei SerD e nelle carceri; per la popolazione che si trova sul resto del territorio si avvierà un lavoro che definirà tempi e modi, sebbene incomba ancora la complessa gestione della pandemia, tra vaccini, tamponi e continui aggiornamenti. In questo processo sarà determinante il ruolo dei Medici di Medicina Generale, che conoscono le persone alla perfezione. Per i casi positivi che saranno riscontrati si sta attrezzando anche il linkage-to-care sui 4 centri specialistici preposti, ossia Terni, Perugia, Città di Castello, Foligno. Alessio D’amato, Assessore alla Salute Regione Lazio, ha sottolineato gli importanti risultati conseguiti nell’azione di contrasto al Covid, ma anche l’impegno totalizzante richiesto dalla pandemia che ha provocato un rallentamento nei programmi di screening, tra cui anche HIV ed Epatite C. Ha espresso pieno sostegno alle iniziative di SIMG e SIMIT, che devono fungere da stimolo al SSN e alle regioni affinché vengano messe in campo tutte le azioni necessarie per intervenire nei settori che hanno subito una battuta d’arresto. Si deve preparare il post Covid sin da subito, dando particolare attenzione ai programmi di screening, altrimenti in futuro potremmo avere sconfitto o attenuato il Covid, ma con maggiori difficoltà su altri setting.

LO SCENARIO ATTUALE – I fondi stanziati dallo Stato sono finalizzati a far emergere il “sommerso” dell’Epatite C nella coorte dei nati dal 1969 al 1989, nella popolazione carceraria e tra gli utenti dei SERD, per poi indirizzarli alla cura. Inoltre, il Piano nazionale AIDS varato nell’ottobre del 2017 è rimasto in larga misura irrealizzato. A questo scenario è stato dedicato il webinar “Alla ricerca del virus: stato dell’arte e prospettive future”, organizzato da Regia Congressi con il contributo non condizionante di Gilead Sciences. Sono intervenuti Massimo Andreoni, Direttore Scientifico SIMIT; Luigi Bertinato, Responsabile della Segreteria Scientifica della Presidenza, Istituto Superiore di Sanità; Claudio Cricelli, Presidente Nazionale SIMG; Ignazio Grattagliano, Segretario Regionale SIMG Puglia; Loreta Kondili, Ricercatore Medico Responsabile Progetto Piter Istituto Superiore di Sanità; Francesco Lapi, Direttore Ricerca Health Search, Istituto di Ricerca SIMG; Loris Pagano, Docente di Sanità Pubblica Università La Sapienza Roma; Alessandro Rossi, Responsabile Ufficio di Presidenza della Macro-Area “Patologie Acute” SIMG e Segretario Regionale SIMG Umbria; a moderare Daniel Della Seta, giornalista scientifico e curatore della rubrica Focus Medicina.

Il progetto avviato da SIMG e SIMIT è basato sulla constatazione che le due infezioni da HCV e HIV hanno ampia diffusione in Italia: servono quindi tutte le strategie possibili per individuare i soggetti che possano aver contratto l’infezione – commenta il Prof. Massimo Andreoni Per questo era nata l’idea di un laboratorio mobile che girasse le città per eseguire i test; il Covid ha reso più complicata questa ipotesi, che si è comunque realizzata nelle fasi di regressione della pandemia. Oggi in Italia vi sono circa 120-130mila persone infette da HIV, e il 10% non ne è a conoscenza; il “sommerso” dell’Epatite C si stima tra le 200 e le 300mila unità. Intervenire rispettivamente nel controllo e nell’eradicazione del virus è determinante anche per evitare il propagarsi dell’infezione. Per questo bisogna pensare a nuove soluzioni, come dei check point in punti strategici delle città, e tenere conto di nuove condizioni. Per l’HIV, infatti, con nuove terapie efficaci che rendono cronica l’infezione, i pazienti invecchiano, la presenza di comorbosità si fa più frequente e serve un’assistenza continuativa, che deve trovare supporto anche sul territorio, per seguire i pazienti in maniera più agevole”.

Oltre alla morbilità e mortalità direttamente provocata dall’infezione dal SARS-CoV-2, ci saranno conseguenze sulle diagnosi e sui trattamenti dell’infezione da HCV e delle malattie correlate, come cirrosi epatica ed epatocarcinoma – sottolinea la Loreta KondiliIn Italia, per soli sei mesi di ritardo, ci saranno in 5 anni oltre 500 morti da malattia del fegato HCV correlata, del tutto evitabili se i ritmi dei trattamenti si ripristinassero prontamente. Si stima che il rapido avvio dei trattamenti delle nuove infezioni, che potrebbero essere diagnosticate con gli screening per scoprire il sommerso da HCV, eviterà in 20 anni 7769 eventi clinici infausti, come cancro del fegato, insufficienza epatica, la necessità di trapianto del fegato e morte HCV correlata, per 10.000 pazienti trattati. A questi vantaggi sanitari, si aggiungerà anche un risparmio di 838.73 milioni di euro per il SSN. Nel perseguire la strategia di controllo dell’infezione e della malattia da Covid-19, la diagnosi dell’infezione da HCV e la cura per eliminarlo dovrebbe essere quindi ripristinata con priorità”.

IL RUOLO DETERMINANTE DEL MEDICO DI FAMIGLIA – Tranne alcune lodevoli eccezioni, le Regioni sono indietro nei progetti di screening dell’Epatite C della popolazione. Esistono alcune iniziative isolate, ma resta molto da fare: per raggiungere i cittadini sul territorio i Medici di famiglia possono svolgere un ruolo di primo piano. “Le Regioni devono attuare gli screening con piani operativi – sottolinea Alessandro RossiIl Medico di famiglia può essere di grande supporto, ma servono codici precisi e canali preferenziali, visto che con i nati nelle coorti ‘69-’89 si fa riferimento ad un’ampia parte di popolazione. Serve un sistema informatico che ricordi quali siano i soggetti candidati agli screening; una via preferenziale per poter esortare il paziente a effettuare questo controllo; una modalità automatica per screening di secondo livello che determinino la viremia e per avviare al linkage-to-care; la gratuità, che garantita dai fondi già stanziati; la semplicità, che deve valere anche per il paziente, il quale deve confrontarsi con una burocrazia ridotta al minimo. Infine, trattandosi di un approccio di squadra, nei gruppi di lavoro che si stanno istituendo all’interno delle regioni diventa opportuna una rappresentanza della medicina generale. Tra gli strumenti che possiamo mettere in campo, vi è anche la cartella clinica, che aiuta a individuare i pazienti in base ai fattori di rischio e permette di ottenere informazioni sull’interpretazione delle linee guida e sull’indice di vulnerabilità di ciascun individuo. Ne risulta una conoscenza approfondita utile per definire un’auspicata estensione degli screening ad altre popolazioni oltre a quelle già identificate dalla legge”.

DALLA RICERCA TRAMITE IL DATABASE HEALTH SEARCH AGLI STRUMENTI DI GOVERNO CLINICO – Gli strumenti della Medicina Generale per la profilazione dei soggetti maggiormente a rischio di patologia e delle relative complicanze si sviluppano tramite il database Health Search dalla SIMG. “Il MMG è determinante nell’individuare la possibile infezione da HIV o HCV, che hanno certamente un ruolo anche l’attuale situazione pandemica – evidenzia il Francesco LapiI soggetti con HIV, ad esempio, sono tra coloro che rispondono meno bene al vaccino e che rischiano una malattia più grave: in epoca prevaccinale, un paziente HIV positivo aveva il 30% di probabilità in più di andare incontro a ingravescenza di Covid; con i vaccini i numeri sono cambiati, ma resta un rischio maggiore di complicanze per i pazienti immunodepressi. Con il database Health Search di SIMG identifichiamo i vari fattori di rischio (classe di età, trasfusioni, comportamenti a rischio, presenza di recente malattia respiratoria o di altre infezioni) e ne deriviamo indicatori di performance assistenziale. Grazie a una quantificazione di ciascun indicatore, il medico può valutare al meglio la propria governance dei pazienti e mettere in atto le procedure assistenziali più proficue per un loro follow up. Queste valutazioni permettono dunque al software di avvisare il medico e di svolgere un’azione preventiva o una maggiore attenzione su determinati pazienti”.

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