Sanità, Nursing Up denuncia: «In Emilia Romagna ferie degli infermieri sarebbero bloccate. Assurdo dopo due anni di Covid».
Siamo di fronte ad un pericoloso paradosso, con conseguenze nefaste per la salute psicofisica dei nostri operatori sanitari.
Stiamo parlando di professionisti che in molti casi già da due anni, a causa dell’incubo Covid, non avevano usufruito del congedo ordinario, quel legittimo periodo di pausa dal lavoro, regolarmene retribuito per legge.
A questo punto, come sindacato nazionale degli infermieri, non ci resta che sensibilizzare i nostri colleghi a rivolgersi ai propri referenti locali per denunciare quanto sta accadendo.
Noi siamo pronti a sostenerli, ad andare in giudizio al loro fianco, se necessario, poiché le ferie di un infermiere “servono per consentirgli il doveroso ristoro psicofisico”, e quindi non si toccano”.
Se dopo due anni di emergenza, le nostre aziende sanitarie non riconoscono un diritto sacrosanto come le ferie, allora vuol dire davvero che, nel bel mezzo del complesso percorso per il rinnovo del contratto della sanità, gli infermieri vengono costretti, in realtà, a camminare bendati in un’autostrada a tre corsie.
Sempre in Emilia Romagna, nel territorio di Ravenna, pensano bene di risolvere la cronica carenza di personale delle RSA assumendo infermieri albanesi e indiani. Ma come? I nostri infermieri fuggono dalle strutture private, e addirittura decidono di tornare in quelle pubbliche, che non rappresentano certo isole felici, e per tutta risposta si assumono operatori sanitari extracomunitari?
Da parte nostra non c’è nessuna presa di posizione contro l’assunzione di infermieri stranieri, sia chiaro».
Così Antonio De Palma, Presidente Nazionale del Nursing Up.
«Nutriamo seri dubbi però sul fatto che il personale del quale parliamo possieda gli stessi requisiti formativi richiesti ai professionisti italiani. Ma se anche fosse così, come si può pensare che un infermiere, che parla un idioma completamente diverso dal nostro, possa recuperare il grave gap comunicativo che esiste, rispetto ai colleghi italiani, solo con un mero corso di formazione?
I neo assunti, ci pare chiaro, saranno poi i professionisti che nelle nostre case di cura, si prenderanno cura dei nostri soggetti più fragili, che dovranno mostrare la prontezza e la professionalità per trattare anche patologie complesse.
Saranno loro che dovranno, ogni giorno, farsi carico dell’assistenza di persone affette magari da malattie croniche e dovranno saper reggere da subito l’impatto con le medesime responsabilità di un infermiere italiano. Un malato, con le sue esigenze, necessita di operatori pronti a garantire un feedback tempestivo ed efficiente rispetto ai suoi bisogni. Non può certo attendere che un operatore sanitario abbia il tempo per recuperare le sue evidenti lacune.
Quale futuro spetterà, ci chiediamo, alla qualità dell’assistenza nel nostro Paese, con una elevata percentuale di popolazione destinata ad invecchiare, con alla base la crisi delle nascite e con una età media sempre più alta?
Non lo diciamo noi, le dicono le indagini degli esperti, e certamente di fronte ad una popolazione che invecchia, si dovrà fare il possibile per supportare nel migliore dei modi le esigenze legate all’aumento delle malattie croniche e le necessità di quei soggetti che hanno bisogno di assistenza quotidiana garantita da personale sempre più specializzato.
Dove sono gli infermieri di famiglia che l’indagine di Agenas, da noi ampiamente condivisa, con la necessità della presenza di un professionista ogni 2000-2500 abitanti, ha messo in evidenza? Si ricordi che non bastano più i 9600 infermieri di famiglia per altro mai davvero inseriti a pieno regime, previsti dal Decreto Rilancio. Ma adesso ne occorrono almeno 24mila da Nord a Sud».