(DIRE) Roma, 23 nov. – Gli operatori previdenziali si mostrano sempre più propensi a integrare i criteri ESG nelle scelte di investimento. Tra gli 88 piani previdenziali che hanno partecipato allo studio sulle politiche SRI, realizzata dal Forum per la Finanza Sostenibile in collaborazione con Mefop e MondoInstitutional, 55 effettuano investimenti sostenibili (contro i 53 del 2020). L’indagine ha coinvolto piani previdenziali appartenenti a diverse categorie: casse di previdenza, fondi pensione aperti, fondi pensione negoziali, fondi pensione preesistenti alla riforma del 1993, piani individuali pensionistici. Tra i soggetti intervistati che non hanno ancora integrato i criteri ESG (ambientali, sociali e di buona governance aziendale) nelle politiche di investimento (33 su 88), la maggior parte (29) già avviato valutazioni in merito. In 17 casi il processo decisionale potrebbe concludersi entro un anno. La ricerca è stata realizzata con il sostegno di AXA Investment Managers, DPAM, Pictet Asset Management, Vigeo Eiris. “Il 62,5% (in termini assoluti 55 su 88) dei piani previdenziali integra i criteri ESG nelle scelte di investimento; il dato è in aumento rispetto alla precedente edizione della ricerca (in termini assoluti +2). I piani attivi in termini di SRI gestiscono circa €141.325 milioni, corrispondenti al 68% del patrimonio complessivo dei rispondenti. Le categorie più attente agli aspetti di sostenibilità si confermano i fondi pensione aperti e le casse di previdenza. In quest’ultima categoria, gli enti che adottano strategie SRI sono passati da 0 nella prima edizione dello studio nel 2015 a 5 nel 2019, per arrivare a 11 nel 2021. “Le principali motivazioni che spingono gli operatori previdenziali a integrare gli aspetti ESG nelle scelte di investimento riguardano la possibilità di gestire più efficacemente i rischi finanziari (soprattutto per casse previdenziali e fondi pensione preesistenti alla riforma del 1993) e di coniugare l’impatto socio-ambientale con un congruo ritorno economico (in particolare per casse previdenziali e piani individuali pensionistici); a seguire, mantiene un ruolo importante il dovere fiduciario nei confronti di aderenti e beneficiari. “Trentatrè piani su 88 non applicano strategie di investimento sostenibile. Di questi, la quasi totalità (29 su 33, l’88%) ha dichiarato di aver avviato valutazioni in merito all’integrazione dei criteri ESG nella gestione patrimoniale. Inoltre, 8 piani che avevano partecipato anche all’edizione 2020 hanno modificato la loro posizione al riguardo, passando da “No” a “No, ma ci sono valutazioni in corso”. “Per gli investitori previdenziali che stanno valutando gli investimenti sostenibili, le principali criticità riguardano la mancanza di dati ESG affidabili e standardizzati e di certificazioni che tutelino contro il greenwashing. Le principali opportunità sono invece individuate nell’impulso proveniente dal contesto normativo di riferimento, nella possibilità di coniugare l’impatto socio-ambientale con un congruo ritorno economico e nella mitigazione del rischio reputazionale.
“Quattro piani su 88 non integrano criteri ESG nelle decisioni di investimento, né hanno avviato valutazioni in merito. In 1 caso su 4 non è stato ancora affrontato il tema; altre motivazioni citate riguardano la volontà di non porre limiti alle decisioni di investimento o di seguire una linea ESG solo per alcuni prodotti all’interno del gruppo. Da rilevare come, anche per l’edizione 2021, nessun piano ha motivato la mancata adozione di strategie SRI con la presunta rischiosità, complessità o scarsa redditività degli investimenti sostenibili (elementi che numerose ricerche accademiche e di mercato hanno dimostrato essere pregiudizi privi di fondamento). “Più della metà dei piani attivi in termini di SRI (il 53%) estende gli investimenti sostenibili alla quasi totalità del patrimonio; si tratta soprattutto di piani individuali pensionistici, fondi pensione preesistenti e fondi pensione negoziali. Il dato, in continuo aumento, è passato da 25 piani nel 2020 a 29 nel 2021. “Tra i fondi che integrano criteri ESG, nel 42% dei casi vengono effettuati investimenti in prodotti specificatamente legati allo sviluppo delle fonti rinnovabili e alla transizione energetica. Si tratta soprattutto di casse di previdenza. Relativamente al disinvestimento dalle fonti fossili, solo l’11% dei piani attivi in termini di SRI ha individuato uno specifico obiettivo quantitativo. “Con riferimento soprattutto al comparto azionario, aumenta l’interesse nei confronti della strategia engagement e azionariato attivo con cui gli investitori attuano una partecipazione attiva nei confronti nelle imprese investite, probabilmente per effetto della direttiva Shareholder Rights II. Per quanto riguarda nello specifico le principali iniziative di dialogo costruttivo con le aziende investite, i rispondenti hanno citato: attività di tipo collettivo o individuale; esercizio del diritto di voto; invio di lettere ai Chief Executive Officer delle imprese investite; adesione a mozioni, petizioni o iniziative promosse da organizzazioni non governative o associazioni di investitori”.
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