Osservazioni Anpci, Audizione,11 novembre 2021, Abuso d’ufficio.
IL 6 luglio scorso proprio a Palazzo Madama l’Anpci presentava le proprie proposte sul reato di abuso
d’ufficio e siamo rimasti molto soddisfatti dell’attenzione che è stata data a quell’evento da voi senatori. IL
deposito di tre disegni di legge sull’argomento conferma che esiste un serio problema in materia.
L’Anpci da più di venti anni sollecita una radicale riforma dell’abuso d’ufficio che porti alla sua completa
depenalizzazione sulla base delle seguenti argomentazioni :
I fatti ci dicono che insistere, per garantire giustizia e correttezza della p.a., con questo tipo di reato non
funziona .
La vita dell’art 323 c.p. è stata molto tormentata:
-una modifica nel 1990, con la legge 86, per ridurne l’ampiezza dato che prima includeva l’eccesso di potere
del quale la giurisprudenza ne faceva un uso molto discrezionale;
-una nuova modifica nel 1997,con la legge 234,con il tentativo di limitare l’intervento del giudice penale che
quasi sempre interpretava la discrezionalità amministrativa come arbitrio e quindi come abuso d’ufficio.
Risultati della modifica zero: i dati del 2017 ci dicono che su 6500 procedimenti solo 57 sono state le
condanne, ma la stessa tendenza si riscontra anche negli anni successivi in cui tra l’altro il numero dei
procedimenti per il reato di cui all’art. 323 c.p., pervenuti in Corte di cassazione, sono sempre stati molto
esigui con elevatissime percentuali di annullamento. Il dato delle condanne sembra rassicurare, ma per
6443 amministratori assolti è stato un calvario e per i loro enti un esborso di parcelle da dissanguare le
casse;
-quindi ancora una modifica nel 2020 con legge 120 che cerca ancor più di restringere il campo di azione
della norma penale attribuendo rilevanza solo alle fonti primarie (legge e fonti a questa equiparate, decretilegge e decreti legislativi).
Ma questa ulteriore modifica non ha riguardato l’ipotesi nelle quali è presente un conflitto tra l’interesse
pubblico da perseguire e l’ obbligo di astensione in presenza di un interesse proprio o di un prossimo
congiunto.
I ddl in esame cercano, ancora con una ulteriore modifica, di restringere e ben definire il reato, ma se siamo
alla quarta modifica in 24 anni, delle quali due in un solo anno, riteniamo che a monte c’è qualcosa che non
funziona e di questo dovremmo occuparci.
Sorge spontanea la considerazione che qualunque sia la formulazione della norma saranno l’applicazione e
l’interpretazione che ne ha fatto, e ne farà, la giurisprudenza a spaventare e a paralizzare il funzionario
pubblico nonché i meccanismi che governano l’avvio di un’indagine e l’instaurazione del procedimento
penale: è questo che spaventava e continua a spaventare i sindaci e i funzionari.
È da qui la fuga del cittadino dalle cariche politiche e del dipendente dal potere di firma. «Ha la meglio,
come sostiene il prof. Castaldo, la preoccupazione di doversi trovare ad affrontare un procedimento
penale”. E se è vero che spesso si risolve in un’assoluzione, questa arriva dopo anni. Intanto il danno
reputazionale è fatto. E non va sottovalutata la questione economica, ovvero la necessità di mettere mano
al portafogli per stare in giudizio, in attesa dei rimborsi dell’ente in caso di assoluzione ».
Un’indagine svolta sui dipendenti della Regione Campania e coordinata dall’Università di Salerno conferma
la paura di agire del dipendente pubblico, con Il 65% degli intervistati che dichiara di sentirsi condizionato
nell’attività dal timore di essere sottoposto a un procedimento per abuso d’ufficio.
Pertanto, fin quando l’abuso d’ufficio sarà presente tra i reati dei pubblici ufficiali contro la pubblica
amministrazione, è plausibile, e a quanto pare inevitabile, che ai tentativi di neutralizzazione operati dal
legislatore continui a contrapporsi la reazione uguale e contraria della giurisprudenza per rivitalizzare la
incriminazione in una storia senza fine.
Una norma che viene continuamente modificata ed applicata con ampia elasticità ed estensione, ha un
problema di fondo, non funziona! E se non funziona va abolita ipotizzando che lo strumento più idoneo
potrebbe essere una netta “depenalizzazione”.
L’Anpci, ad ogni modifica del reato ( nel 199, nel 2017 e nel 2020 ) aveva segnalato che le modifiche non
avrebbero funzionato e le nostre obiezioni sono state anche riprese da alcune commissioni ministeriali; la
Mirabelli nel 1997, la commissione Nordio nel 2017 e da parte della dottrina, ipotizzandone la
depenalizzazione.
È del tutto prevedibile, dunque, che il compito di presidiare l’attività amministrativa discrezionale
finché resterà in vigore il reato di abuso d’ufficio sarà assolto pur sempre dal diritto penale, ma con l’ausilio di
altre figure criminose.
É anzitutto ipotizzabile che gli abusi del potere discrezionale estromessi saranno con crescente frequenza
ricondotti alle alternative tipiche, rimaste intatte, ovvero all’omessa astensione in caso di interesse
proprio dell’agente, di un prossimo congiunto o negli altri (non meglio precisati) “casi prescritti”.
Nel complesso, (come espuntiamo in parte dalla dottrina: Stoltoni, Natalini, Nisco ) l’attuale art. 323 c.p.
rischia di indurre gli amministratori a confidare in un’inconsistente franchigia penalistica, lasciando
intendere che agire sia più conveniente che rimanere inerti. Ciò può essere vero, solo nella misura in cui
l’omissione, andando contro ad un preciso obbligo di agire, realizzi la violazione di un obbligo
comportamentale, ma in altri casi agire è egualmente rischioso. Specialmente ove ricorrano valutazioni
tecniche errate, la condotta del pubblico ufficiale verrà attratta (lo era già) nell’orbita del falso ideologico
ogni volta in cui sia riferibile ed, inoltre, qualora la discrezionalità riguardi un atto di disposizione
patrimoniale, e specialmente il maneggio di denaro, il suo scorretto esercizio potrebbe ricadere nel
peculato per distrazione. Si riattiverebbe, così, una forma di controllo sulla discrezionalità gravida di un
rischio penale ben più elevato di quello insito nell’abuso d’ufficio, in considerazione del carico
sanzionatorio previsto dall’art. 314, comma 1 c.p. (peculato).
L’ Anpci fa proprie le posizioni abrogative proveniente da una parte della dottrina la quale ritiene che la
soluzione del dilemma, almeno in un ordinamento penale a fondamento costituzionale, dovrebbe
discendere dall’interazione tra i princìpi di legalità, sussidiarietà ed extrema ratio: preso atto di quanto
appena detto, i fenomeni sottesi all’abuso andrebbero regolati con strumenti diversi dal diritto penale.
Questa conclusione giustificherebbe la sostituzione dell’art. 323 c.p. con uno o più illeciti amministrativi, le
cui fattezze – tutte da studiare – potrebbero conformarsi a parametri più duttili di quelli ai quali sottostà
(o dovrebbe sottostare) il reato, rivelandosi idonei a recepire, in una certa misura, rinvii a fonti
sublegislative, norme di principio, clausole generali e anticipazioni di tutela.
Del resto, l’assoluta necessità di punire l’abuso d’ufficio e le lacune di tutela, che deriverebbero dalla sua
eventuale abrogazione, non sono mai state oggetto di una seria verifica empirica, ma più che altro di un
timore diffuso, non disgiunto da una fiducia incrollabile nella funzione deterrente della pena. Ma nulla
esclude che la sanzione amministrativa, proporzionata all’effettiva gravità dei fatti, possa rivelarsi più
efficace di una fattispecie penale che raramente varca la soglia delle indagini preliminari e quasi mai
quella di una condanna definitiva che provoca comunque rilevanti costi sociali.
Nella convenzione quindi che il reato vada assolutamente depenalizzato, riteniamo che fra i ddl in esame,
tutti di alto valore giuridico e politico, il ddl che più si avvicina alle posizioni sulla materia tenute dalla
nostra associazione, sin dalla prima modifica del reato di abuso d’ufficio del 1990, sia il ddl 2145, che
estende a tutti i pubblici ufficiali e incaricati di pubblico servizio maggiori tutele nell’ambito dell’attività
discrezionale. Tutele che gli altri due ddl assegnano alla sola attività del Sindaco non garantendo così la
fluidità dell’azione amministrativa che è assegnata per legge anche agli assessori, consiglieri, dirigenti e
pubblici dipendenti.
Pur non garantendo il ddl 2145, per i motivi sopra esposti, che il reato penale che esce dalla porta non
rientri dalla finestra, come già accaduto nelle modifiche precedenti del testo dell’art 323 c.p, il testo rende
più agevole l’applicazione della discrezionalità amministrativa nella p.a. Sarebbe opportuno, a nostro
avviso, qualora il senato non ritenesse percorribile la strada della depenalizzazione, che dentro al testo
Presidenza: C/o Municipio di 12060 MARSAGLIA (CN) tel/fax 0174 787112 cell 348 3140670 franca.biglio@anpci.eu
2145, per rafforzare la definizione di prossimi congiunti e blindarla da ogni interpretazione, dopo le parole
prossimo congiunto venga inserita la seguente frase “ come esclusivamente individuato dall’art 307 quarto
comma, del codice penale come modificato dall’articolo 1, comma 1, lettera a), del decreto legislativo 19
gennaio 2017,n 6.
In tal modo si eviterebbero estensioni da parte della giurisprudenza del concetto giuridico di prossimo
congiunto ( ricordiamo la sentenza della cassazione penale 46351/2014 che in materia di risarcimento
aveva ricompreso tra i prossimi congiunti la fidanzata.
Sarebbe altresì da precisare subito nel testo del ddl 2145 se:
1) in presenza di unioni civili debba esercitarsi l’astensione;
2) se l’astensione sia applicabile o meno agli atti urbanistici generali e particolareggiati.
Noi propendiamo per l’inclusione dei membri delle unioni civili fra i prossimi congiunti e l’esclusione
dell’astensione nell’approvazione dei Piani regolatori generali e dei piani particolareggiati che non
riguardano prevalentemente un prossimo congiunto: ( spesso in un piccolo comune dove si hanno tanti
parenti e affini non si riesce ad approvare il prgc per riduzione del numero legale a seguito delle uscite dalle
aule di consiglieri in conflitto di interesse ).
Roma 11.11.2021
La Presidente Il Consulente
Franca Biglio Dott. Vito Mario Burgio