COVID. CHIAPPINI (SIPPS): CON VARIANTE DELTA INFEZIONI IN ETÀ PEDIATRICA SONO IL 25% DEL TOTALE.
C’è poi il tema del cosiddetto ‘long Covid’ e dei suoi effetti anche sui soggetti in età pediatrica. “Uno studio pubblicato su Acta Paediatrica dal dottor Danilo Buonsenso di Roma ha rilevato un’incidenza abbastanza importante del ‘long Covid’ nel bambino: più di un terzo del campione analizzato aveva uno o due sintomi persistenti a quattro mesi o più dopo l’infezione. Un altro quarto presentava tre o più sintomi. Insonnia, astenia, mialgie e sindrome simil-influenzale erano quelli più comuni, in modo simile a quanto osservato nelle popolazioni adulte. I dati sono tuttavia contrastanti. Ad esempio, dal Regno Unito da poco pubblicato che ha mostrato un’incidenza inferiore rispetto a quanto riportato in precedenza, con percentuali intorno al 10%. Altri studi riportano percentuali molto diverse. In questo momento dunque i dati di letteratura non sono definiti. Sicuramente- ricorda la pediatra- è importante che per i bambini ed i ragazzi che hanno avuto una forma grave di Covid sia stabilito un follow up a lungo termine con controlli approfonditi a livello pneumologico, reumatologico, ematologici, psicologico, cardiologico. Molti Centri italiani si sono attrezzati con ambulatori per il follow up dei soggetti pediatrici che sono stati ricoverati per COVID-19”. In generale, sottolinea Chiappini, “abbiamo avuto una esplosione di patologie psichiatriche, a partire dai disturbi del comportamento alimentare. Abbiamo registrato un disagio psicologico anche in chi non ha sviluppato quadri psichiatrici. Molti bambini hanno sperimentato lutti in famiglia. I bambini sono dunque una popolazione al momento fragile, da proteggere”. Proprio alle conseguenze psichiatriche del COVID-19 sui bambini è dedicato un capitolo del Manuale, curato da Immacolata d’Errico, psichiatra e psicoterapeuta, intervenuta al Congresso. “Dall’analisi della letteratura -illustra l’esperta- emerge che a soffrire di patologie psichiatriche sono stati i ragazzi con fragilità psicologica, che si è amplificata, in pandemia, con manifestazioni come disturbi di ansia, depressione, attacchi di panico, autolesionismo. Ci sono poi i ragazzi con una patologia psichiatrica già alle spalle e che si è aggravata, nella loro patologia preesistente o verso altre patologie (nel campo dell’ansia e della depressione) in comorbidità. Il contesto risulta altrettanto importante perché ovviamente un ambiente familiare accogliente e supportivo fa la differenza. A questo proposito- chiarisce d’Errico- è stato realizzato uno studio spagnolo che ha messo in relazione le reazioni emotive dei ragazzi (senza patologie psichiatriche), lo stato emotivo dei genitori, la relazione tra gli stati emotivi dei genitori e dei ragazzi e ha stimato il cambiamento di abitudini nei minori. È emerso che le famiglie e i ragazzi italiani hanno mostrato trend migliori, più bassi anche se di poco, di quelli spagnoli. Tra i ragazzi spagnoli è emerso che l’85% ha vissuto un cambiamento nei propri comportamenti e stati d’animo con irritabilità, irrequietezza, preoccupazione, difficoltà di concentrazione, apatia. Si è visto inoltre che a questi comportamenti e a queste emozioni dei figli corrispondevano uguali comportamenti ed emozioni nei genitori. In tutti questi casi i sintomi di sofferenza psicologica osservati rientravano nell’ambito dei disturbi d’ansia”.
I disturbi di ansia, spiega la psicoterapeuta, si manifestano in modo diverso in base all’età dei soggetti. “Da un’altra importante ricerca realizzata dall’ospedale Gaslini di Genova, è emerso che i bambini fino a 5-6 anni che sviluppano disturbi d’ansia, lo fanno attraverso sintomi fisici come mal di testa, mal di pancia, ma anche pavor nocturnus, paura del buio, ansia di separazione. Dai 7 anni in su possono comparire segni di distress, alterazioni del pensiero, panico, disturbi del sonno e dell’umore. I bambini e i ragazzi assistiti dal terapeuta, anche in videoconferenza, hanno avuto risultati migliori rispetto agli altri”. Sottolinea poi d’Errico l’inaspettato esito di uno studio danese che “si è invece concentrato sul disturbo ossessivo compulsivo. La ricerca ha suddiviso il campione in ragazzi con diagnosi recente, in cura sia farmacologica che in psicoterapia, e ragazzi con diagnosi datate di disturbo ossessivo compulsivo che avevano completato un percorso di cura e che assumevano solo terapia farmacologica. In questi ragazzi è emerso un peggioramento del disturbo fino all’80% per quelli che non vedevano più il proprio psichiatra, mentre per gli altri il peggioramento si è attestato al 50%. Tuttavia- evidenzia la psichiatra- nelle conclusioni dello studio gli autori constatano come, contrariamente all’atteso, i ragazzi con una tendenza ossessivo compulsiva o con un disturbo conclamato non si sono scompensati sul tema dell’igiene delle mani, nonostante il lavaggio delle mani fosse indicato come uno degli strumenti fondamentali per la prevenzione del contagio. I rituali di lavaggio delle mani non sono aumentati e la gravità dei sintomi ossessivi sembra dovuta alla perturbazione che la paura del COVID-19 ha provocato”. In conclusione, d’Errico sottolinea come “per vedere con chiarezza gli esiti della pandemia sulla psiche dei ragazzi, e non solo, bisognerebbe aspettare dieci anni perché attualmente siamo ancora all’interno della bolla della pandemia con una visione distorta della situazione”.
Agenzia DiRE www.dire.it