TANTE SFIDE PER GOVERNO SEGNATO DA FRATTURE INTERNE (DIRE) Roma, 21 set. – Solo nelle prime settimane dell’Emirato, i talebani hanno fatto i conti con più manifestazioni di protesta di quelle registrate nel governo di vent’anni fa, tra il 1996 e il 2001. “E’ più facile conquistare che governare, ma i talebani non conoscono più gli afghani, che non sono disposti a cedere ai dogmi. Diciotto milioni di afghani hanno bisogno di aiuti umanitari – circa la metà della popolazione. Scuola, sanità e salari pubblici non sono più finanziati da mesi, e poi ci sono le tensioni con le varie comunità etniche e la resistenza nel Panjshir”. Finora però, “la priorità che ha prevalso su qualsiasi altra sfida è stata l’esigenza di tenere il movimento unito: l’occidente dovrà seguire con attenzione queste lotte intestine, perché rappresentano una sfida che ci riguarda da vicino”. Questa l’analisi fornita dall’ambasciatore Stefano Pontecorvo, rappresentante civile Nato in Afghanistan, intervenuto in commissione Esteri e Difesa di Camera e Senato. Pontecorvo ha avvertito che “nonostante la notorietà mediatica delle ultime settimane”, il movimento talebano “resta sconosciuto. Non è una semplice insorgenza armata- ha avvertito- bensì un movimento che si è dotato di un’efficente struttura organizzativa ben coordinata nonostante il carattere decentrato”. La presa di Kabul e l’istituzione dell’Emirato, il 15 agosto scorso, ha finito tuttavia per inasprire “la frattura tra i talebani pashtun del sud, provenienti principalmente da Kandahar e l’Helmand, e i talebani della tribù degli haqqani, originari dell’est”. Un dissidio che, dice l’ambasciatore, “si trascina da mesi, ma che secondo gli storici risale alla guerra tra l’Impero britannico e l’Emirato di Afghanistan, nel 1840”. Pontecorvo evidenzia anche i dissidi tra i comandanti militari custodi della linea oltransista, e l’ala politica, più moderata e incline a compromessi “per la pace sociale e le relazioni con l’estero”. Tali dissapori per Pontecorvo hanno contribuito nel delineare il nuovo esecutivo provvisorio, che “non comprenda ne’ le donne ne’ rappresentanti delle comunità etniche – cosa che avevo previsto – ma anzi, su 33 membri, 17 sono sanzionati dalle Nazioni Unite, mentre cinque sono ex detenuti di Guantanamo. Ciò dimostra quante poche leve l’Occidente abbia su questo esecutivo”.
L’ambasciatore chiarisce: “Quella economica non basta: primo, perché i talebani non si rendono ancora conto di quanto denaro serva per governare un Paese. Secondo, non hanno particolari ambizioni e, terzo, fanno conto su partner non tradizionali come la Cina”. Pechino, prosegue il funzionario Nato, “guarda con interesse alle risorse minerarie, alle terre e alla possibilità di far passare le proprie infrastrutture del corridoio commerciale ‘Via della seta’ in Afghanistan, lontano dalla sfera di influenza della Russia”.
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