PARALIMPIADI. FISIOTERAPISTA ITALIA: COSI’ CI PRENDIAMO CURA DI BEBE VIO E AZZURRI.
Al fianco di Bebe Vio e di tutta la Nazionale italiana di scherma paralimpica anche il fisioterapista Christian Lorenzini, senese di 33 anni, da 10 al servizio della fisioterapia sportiva e specializzato in riabilitazione ortopedica.
L’agenzia Dire lo ha raggiunto telefonicamente per chiedergli quanto ci sia del suo lavoro nei successi conquistati in Giappone dalla scherma paralimpica azzurra.
Lorenzini mette subito le mani avanti. ‘Parlare di me è un’esagerazione- spiega- perchè io dico sempre che noi addetti ai lavori, noi dello staff sanitario, siamo un po’ l’ultima ruota del carro. Siamo quelli che si alzano prima la mattina, quelli che vanno a dormire più tardi la sera ma dire che c’è una percentuale di nostro nelle vittorie è forse un po’ esagerato’.
Lorenzini aggiunge: ‘Facciamo la nostra parte, sicuramente ci mettiamo a disposizione massima degli atleti, quindi sicuramente una piccola percentuale di merito nostro c’è, ma gli attori principali, poi, sono sempre gli atleti e il merito va fondamentalmente tutto a loro’.
Eppure è difficile credere che nelle vittorie di Bebe Vio, portabandiera a Tokyo dell’Italia insieme al nuotatore Federico Morlacchi, il suo lavoro non rivesta molta importanza.
Il fisioterapista toscano precisa che ‘fondamentalmente è lei che molto spesso fa da attrice principale. Ed è proprio lei che ci aiuta in vari momenti, sia quando si tratta degli allenamenti sia quando si tratta delle gare, a dare un aiuto a se stessa’.
Tutto il mondo ha visto la gioia, le urla di felicità, le lacrime di Bebe Vio dopo la conquista della medaglia d’oro. Eppure in Giappone l’azzurra ha rischiato di non poter volare e non poter gareggiare insieme alla compagine italiana. Colpa di una infezione da stafilococco aureo. Una terribile storia raccontata dalla stessa campionessa veneta.
Invece, nel giro di pochi mesi, la paura di nuove amputazioni che avrebbero potuto costarle anche la vita, Bebe Vio ha vinto la sua battaglia e poi, una volta in pedana nel paese nipponico, ha trionfato.
‘Bebe ha sintetizzato in maniera molto sincera quanto le è accaduto- dichiara Lorenzini- e ritengo che questo dia ancora maggiore risalto alla sua vittoria nella gara individuale ed in quella di squadra, proprio perchè, venendo da un periodo non facilissimo, ha dovuto rincorrere il tempo per prepararsi e per affrontare questa ulteriore sfida che, fortunatamente, è riuscita a portare a compimento’.
Nonostante la sua vita non sia stata certamente facile, Bebe Vio all’esterno appare come una ragazza sempre estremamente positiva, un sorriso perenne e contagioso.
‘Fondamentalmente- prosegue Lorenzini- lei si mette sempre a nudo, Bebe è ciò che vediamo, è lei e quello che rappresenta. E questa è la cosa che mi è sempre piaciuta. È una ragazza davvero molto schietta, molto sincera, le cose non le manda a dire e, a mio avviso, è un fatto estremamente positivo’.
Gli amanti della scherma, ma non solo loro, conoscono, più o meno, tutto ciò che riguarda la vita di Bebe Vio. Christian Lorenzini precisa però che ‘il mondo paralimpico, quello della scherma nello specifico, è pieno di racconti che possono davvero sembrare surreali, almeno inizialmente. Se però poi si conoscono i protagonisti e chi vi sta dietro, ci si rende conto che si tratta di storie straordinarie ma gestite come normalissime’. Il fisioterapista di Siena aggiunge che ‘questo rappresenta la vera forza dei ragazzi stessi, che hanno saputo affrontare in maniera esemplare le proprie difficoltà, le proprie storie, venendo fuori in una maniera che a un occhio esterno può sembrare veramente incredibile ma con una naturalezza che non ha davvero eguali. Ognuno dei ragazzi con i quali ho a che fare, ma anche con tutti gli altri atleti paralimpici, ha una storia, un percorso, e secondo me è questo che è straordinario e che, solo per questo motivo, deve essere premiato’.
Con Christian Lorenzini si discute inoltre delle eventuali differenze nel trattare atleti diversamente abili e lavorare come fisioterapista con atleti cosiddetti ‘normodotati’.
Lorenzini risponde che questa ‘è una domanda che inizialmente mi sono fatto anche io quando mi sono avvicinato al mondo paralimpico. All’inizio ero un po’ spaventato perchè ancora oggi purtroppo la disabilità spaventa. Mi aspettavo situazioni molto più difficili, mentre a volte i veri disabili sembriamo noi ‘normodotati’. Gli atleti paralimpici, ma anche le persone disabili che non fanno sport, affrontano la vita in un modo tale che a noi può sembrare assurdo e paradossale. La differenza probabilmente consiste in chi approccia alla disabilità, cioè come si vuole vedere ed interpretare la disabilità. Io, sinceramente, approccio allo stesso modo: soprattutto con gli atleti, in particolare con quelli che hanno una certa esperienza, che sanno già cosa il loro corpo possa dare. E a volte sono loro
stessi che ci insegnano che la disabilità non è un limite ma una caratteristica’.
Altro tema, quello relativo alle eventuali differenze nei tempi di recupero tra atleti disabili e atleti normodotati. Il fisioterapista informa che ‘un atleta con disabilità, se lo guardiamo in generale, sicuramente può avere differenze oltre che nel tempo di recupero anche in quello che può fare. Atleti con disabilità o comunque con il coinvolgimento vascolare o del sistema nervoso, infatti, non possono effettuare molte terapie. Quindi probabilmente sì, una differenza c’è’.
perchè in un periodo lungo che, ovviamente, precede un evento come una Olimpiade o una Paralimpiade, ci sono da gestire anche momenti un po’ più difficoltosi, sia dal punto di vista lavorativo che dal punto di vista morale. Mi porto via pezzi di quotidianità molto importanti, storie e situazioni che vanno oltre lo sport stesso e mi porto via moltissime emozioni proprio in campo umano’.
È indubbio che ci sia stata molta enfasi per i Giochi Olimpici di Tokyo, e forse un po’ meno attenzione per i successi delle Paralimpiadi, una cosa che gli addetti ai lavori, atleti compresi, percepiscono.
Lorenzini dice infine che ‘dobbiamo guardare un po’ di più a quello che la disabilità può portare, far scaturire e nascere in una persona e a quello che magari le è stato tolto. Se riuscissimo a vedere un po’ questo, anche l’aspetto sportivo, l’aspetto di una Paralimpiade sarebbe considerato leggermente in maniera diversa ed avrebbe certamente maggiore risalto. E penso che anche tutte le medaglie che stanno arrivando a livello italiano in determinati sport ne rendano merito e siano da
esempio’, conclude.
‘Se sembra impossibile, allora si può fare’. Parole e musica di Beatrice Maria Adelaide Marzia, per tutti Bebe Vio.