Paralimpiadi, Bebe Vio e la sua squadra argento nel fioretto femminile.

di Mirko Gabriele Narducci

Superato, nonostante il ko con la Cina, il risultato di Rio 2016, quando le stesse tre ‘moschettiere’ azzurre conquistarono il bronzo.

(FOTO BIZZI/CIP)

TOKYO – L’Italia del fioretto femminile è medaglia d’argento ai Giochi Paralimpici di Tokyo 2020. La squadra composta da Bebe Vio, Loredana Trigilio e Andreea Mogos è stata sconfitta 45-41 dalla Cina nella finale disputata sulla pedana della Hall B del Makuhari Messe. Superato, nonostante il ko, il risultato di Rio 2016, quando le stesse tre ‘moschettiere’ azzurre conquistarono il bronzo.

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VIO-MOGOS-TRIGILIA, CHI SONO LE SCHERMITRICI MEDAGLIA D’ARGENTO NEL FIORETTO

Bebe Vio, Andreea Ionela Mogos e Loredana Trigilia. Sono le schermitrici dell’Italia medaglia d’argento nel fioretto a squadre femminile ai Giochi Paralimpici di Tokyo 2020. Un risultato che, nonostante la sconfitta in finale contro la Cina, va comunque a migliorare il bronzo conquistato a Rio nel 2016 sempre dalle stesse tre azzurre.

Beatrice Maria ‘Bebe’ Vio non ha certo bisogno di presentazioni. Fresca della conferma di ieri a Tokyo come campionessa paralimpica di fioretto individuale dopo l’exploit di Rio nel 2016, è nata a Venezia il 4 marzo del 1997 e gareggia per le Fiamme Oro. Nel 2012 l’esordio in Nazionale.

“La scherma? L’ho iniziata per sbaglio. Praticavo ginnastica artistica ma mentre tutte facevano la ruota io facevo il salame… Da lì ho capito che non faceva per me. Un giorno ho provato anche la pallavolo, ma ero scarsa”. Ma il destino è in ‘agguato’ e quella stessa sera, mentre esce dalla palestra di pallavolo, entra per sbaglio in quella di scherma: “Mi hanno colpito tutti quegli ‘zorro’ bianchi, e poi il suono delle lame e la ‘fragranza’ della palestra di scherma, la mia preferita”. In quel momento ha cinque anni e si innamora completamente di questo sport. Tante le fonti di ispirazione: “A livello schermistico sicuramente Valentina Vezzali, ma anche Juri Chechi, Vanessa Ferrari”. Oggi le sue fonti di ispirazione vivono vicino a lei: “Sono i ragazzi dell’associazione che hanno creato i miei genitori”. Se non avesse fatto l’atleta? “Avrei voluto fare la videomaker di video musicali”. Al momento Bebe si sta laureando, poi – dice – volerà a New York per un master”.

Andreea Ionela Mogos è nata a Vaslui (Romania) il 2 giugno del 1988, anche lei è nelle Fiamme Oro e ha esordito in Nazionale nel 2013. Per lei “lo sport è confrontarsi con gli avversari, migliorare ogni volta che si sale in pedana: lo sport è una sfida continua”. Mogos si avvicina alla scherma dietro consiglio della sua fisioterapista. Del suo sport le piace il fatto di giocare d’astuzia: “Bisogna riuscire a portare il tuo avversario a fare quello che vuoi tu”. Il sogno nel cassetto, finita la carriera di atleta, è viaggiare e vedere il mondo: “Mi piacerebbe anche aprire un’attività tutta mia”. Il momento sportivo più bello è legato al bronzo nel fioretto a squadre vinto a Rio nel 2016: “In assoluto l’emozione più bella mai vissuta”. Prima di ogni gara cerca sempre di fare una bella dormita: “All’inizio questo non mi riusciva, ma ora che ho più esperienza mi viene più facile”. La medaglia la dedica a tutte quelle persone che l’hanno sempre supportata: “I miei maestri, i miei preparatori, la mia famiglia e tutto lo staff paralimpico”. Nel suo palmares, accanto al bronzo di Rio e alla nuova medaglia di oggi, ci sono due bronzi ai Mondiali di Eger (Ungheria) nel 2015 e di Cheongju (Cina) nel 2019 e un oro ai Mondiali di Roma nel 2017, tutti nel fioretto a squadre.

Loredana Trigilia, sempre nelle Fiamme Oro, è nata a Siracusa il 26 gennaio del 1976. L’esordio in Nazionale nel 2000, anno della prima partecipazione a una Paralimpiade, quella di Sidney. Da lì in poi è stata sempre presente ai Giochi: ad Atene nel 2004, a Pechino nel 2008, a Londra nel 2012 e a Rio nel 2016, con la sesta partecipazione a Tokyo. Per Trigilia “lo sport è libertà: quando sono in palestra mi sembra di rinascere ogni volta”. Si avvicina a questo sport dopo l’incidente, come forma di riabilitazione: “All’inizio doveva servire solo come terapia, ma poi è scoccato l’amore”. Un amore che dura ormai da ventisei anni: “Quando finirò la carriera di atleta inizierò quella di maestro, perché vorrei trasmettere ai giovani tutto l’amore che nutro per la scherma”. La sua fonte di ispirazione? Se stessa: “Perché in pedana ci sono io, e le mie emozioni non sono uguali a quelle degli altri atleti”. La medaglia la dedica al figlio undicenne, “perché è l’amore della mia vita, perché mi supporta senza farmi pesare l’assenza da casa”. Brani in particolare per la sua playlist non ne ha, ma se dovesse scegliere metterebbe un po’ di musica italiana e un po’ di rap: “Perché è la musica che ascolta mio figlio”.

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