Il Barone Agostino La Lomia al Grand Hotel delle Palme di Palermo.
Il Barone Agostino La Lomia al Grand Hotel delle Palme
Lo storico albergo ‘Grand Hotel delle Palme’ di Palermo ha riaperto, dopo due anni di restauro, mantenendo integro l’ambiente Liberty dell’epoca. L’antico Hotel di Palermo, nella centralissima via Roma, fu un albergo di magnificenza, emblema della’Belle Époque’, frequentato dalla cultura del ‘bel mondo’. Il Palazzo liberty è stato scenario di numerosi eventi di personalità illustri del mondo della cultura, dell’arte e dello spettacolo e non mancarono intrecci di potere e di politica.
Il carisma dei Grand Hotel è stato avvertito dall’artista Francesco Guadagnuolo ogni volta che è stato ospite in grandi alberghi in occasione di innumerevoli mostre organizzate nel mondo, i ricordi degli alberghi storici sono rimasti segnati nella sua memoria, per la loro storia, la raffinatezza e la sfarzosità degli arredi.
L’artista ha voluto realizzare un grande dipinto, omaggio ad un personaggio estroso, alquanto singolare, come Agostino La Lomia, Barone di Canicattì, cliente abituale, dell’Hotel delle Palme. Approdava alle Palme con “l’Eccellenza Referendario Paolo Annarino” il suo gatto e un merlo che presentava un biglietto da visita che lo definiva “Monsignore Turi Capra, duca di Santa Flavia”. Si racconta che s’inviava lettere per farsi vociare, dal portiere d’albergo: “Signor Barone c’è la posta…” e tutti si giravano.
Il dipinto di Guadagnuolo dal titolo “Il Barone La Lomia all’Hotel delle Palme”, il Barone sta al centro, con folta e fluente barba, ritratto dell’aspro sogghigno di chi, scoprendo attorno a sé un mondo che cambia rapidamente, a lui sconosciuto, tenta sconsolatamente di immaginarne uno differente, ecco che arriva l’ “Eccellenza Referendario Paolo Annarino” il suo gatto e “Monsignore Turi Capra, duca di Santa Flavia” il suo merlo. Infatti, nell’opera si vedono le tre figure in primo piano il gatto, il Barone e il merlo. Protagonisti di una vita, reinventata dallo stesso Barone per quel male di vivere, forse dovuta al fatto che i nobili perdevano man mano la loro autorità. La sua vita sarebbe stata scioccata da una circostanza legata alla vendita costretta e di carattere misterioso di un rilevante Immobile che possedeva a Palermo, vicino al Teatro Politeama, forse per questa circostanza il vivere per La Lumia era diventato inaccettabile, infatti, si era chiuso per sette anni nel suo Palazzo, nel centro di Canicattì, senza più uscire e vedere nessuno. Dopo questo cercato isolamento è ritornato a vivere a modo suo: “tutto nella vita è sciocchezza più o meno importante” pensando spesso alla morte.
Nel dipinto si vede la camera 124 dell’Hotel delle Palme scelta da lui perché sosteneva che lì era stato concepito, dove amava soggiornare, l’ambiente sembra tutto fantastico, anche il cielo azzurro che entra nella stanza al posto del tetto. A sinistra la porta d’ingresso con lussuosi tendaggi, sulla destra una specchiera che fa vedere il resto della stanza con sulla consolle un antico orologio d’oro, dove le lancette non sono più necessarie, come se il Barone vivesse senza tempo ed affisso alla parete un quadro d’autore. Si respira un’atmosfera ricca, da fiaba dorata, dove il merlo sembra volare libero nella stanza e il gatto in atteggiamento regale con collana al collo, come fosse un gatto dell’antico Egitto. Il Barone con lo sguardo di presenza e assenza si prepara alla solita uscita, quasi da avanspettacolo facendo incuriosire gli ospiti dell’albergo.
Agostino La Lomia, uno degli ultimi baroni dandy sopravvissuto della storia siciliana, ha vissuto un certo mito per lasciare una certa leggenda dietro di sé, in virtù del piacere e dell’eccesso: all’esaltazione boriosa della lontana casata, raccolse l’allegria creata di una sussistenza più spassosa, disperduta fra donne, simposi, celebrazioni, trattenimenti e qualsivoglia stramberia. Il Barone, con il suo anticonformismo, si abbigliava di bianco nella stagione invernale e di nero d’estate con fiocco al collo e fiore bianco all’occhiello.
Non c’era festival a Taormina, a Roma, Montecarlo o a Venezia per la rassegna cinematografica in cui il Barone non andasse, così aveva l’opportunità di coltivare amicizie con grandi attrici, tra le quali Sofia Loren e Gina Lollobrigida con i suoi immancabili amici gatto e merlo.
Morto il suo gatto, con dovuti funerali, tutta l’attenzione la otteneva il merlo, conquistando la posizione di privilegio che lo seguiva col fischio delle note “Vitti ‘na crozza” spesso accompagnato dalla chitarra suonata dal Barone.
Così si chiude l’avventura di Agostino La Lomia, con tutte le esuberanze e sfrenatezze, diventando una novella esilarante di fine novecento. Una vita che nascondeva un carattere interiore funesto, dove Guadagnuolo vuole far apparire, con questo dipinto, che non tutto è oro ciò che luccica e non tutto corrisponde con la vera realtà del Barone, celando spesso una vita solitaria, recitata da apparizioni ed esteriorità, davanti ad una vita più inventata che vissuta.