#PianetaTerra2050 – Innovazione sì, ma senza ricadute ambientali: la missione possibile della transizione ecologica.

Vito Coviello Socio AIDR e Responsabile Osservatorio Tecnologie
Digitali nel settore dei Trasporti e della Logistica.

Anno 2050, L’unione Europea ha vinto la sua sfida: non ci sono più
emissioni nette di gas ad effetto serra avendo implementato un sistema
economico e finanziario che fa uso esclusivamente di soluzioni
sostenibili.
È stato completamente ripensato e riorganizzato il sistema di
approvvigionamento dell’energia che ora è pulita in tutti i settori:
trasporti, industrie, edilizia, agricoltura, produzione e
trasformazione dei prodotti alimentari, ora tutelano gli ecosistemi
con un uso sostenibile delle risorse.
Non è stato facile, ma è stato realizzato anche negli altri
continenti grazie alla guida dell’UE.
Il Pianeta ora è salvo, salva è anche la salute degli esseri umani.
Nessun Paese, nessun essere umano è stato lasciato indietro perché in
gioco c’era la sopravvivenza dell’intera umanità.
Potrebbe essere la sceneggiatura di un prossimo film di fantascienza,
per una volta non catastrofico, o come tutti ci auguriamo anche
se non tutti lo potremo vedere di persona, l’incipit delle testate
giornalistiche del 1° gennaio 2050, tutte rigorosamente on-line
ovviamente.
Non possiamo prevedere il futuro, ma dobbiamo crederci per noi
stessi e per le generazioni che verranno dopo di noi.
Ci crede l’Unione Europea che con il nuovo Green Deal dichiara di
voler raggiungere proprio gli obiettivi di cui sopra.
La transizione energetica è un punto centrale del programma ma
comporta un radicale cambiamento del nostro stile di vita, siamo
davvero pronti a farlo?
Se proviamo ad immaginare la transizione nei prossimi 30 anni come una
staffetta intergenerazionale, al primo cambio di testimone tra la
generazione attuale e la prossima dovremo aver dimostrato di aver
avviato con successo il piano, soprattutto in Italia.
La figura 1 rappresenta ad alto livello come l’Unione Europea intende
realizzare la transizione e trasformare l’economia per un futuro
sostenibile.

Figura 1. Il Green Deal europeo fonte::
https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/

L’unione non si limiterà ovviamente solo a varare le nuove misure e
ad assicurare le coperture economiche del piano, ma collaborerà con
tutti gli stati membri e vigilerà affinché il piano sia attuato in
modo efficace e nei tempi previsti.
L’Italia come gli altri Paesi dell’unione dovrà presentare il suo
piano di transizione ecologica dando ampio spazio alle innovazioni,
ma con una forte attenzione alle ricadute ambientali.
Si dovrà iniziare con il piano nazionale di ripresa e di resilienza
(PNRR) 2021-2026 per poi proseguire verso le più importanti
milestone del 2030 e del 2050 passando il testimone alle generazioni
future senza soluzione di continuità.
L’agenda Onu 2030 è il cronoprogramma sottoscritto nel 2015 dai 193
paesi Membri dell’ONU e comprende 17 obiettivi di sviluppo
sostenibile che possiamo ricondurre a tre dimensioni fondamentali e
inscindibili per attuare uno sviluppo sostenibile: crescita
economica, inclusione sociale e tutela dell’ambiente.
L’unione europea con il suo Green Deal ha redatto il piano di azione
spingendosi anche oltre il 2030 e punta ad essere nel 2050 il primo
continente ad emissione zero: nessuna emissione netta di gas ad
effetto serra, crescita economica dissociata dall’uso delle risorse e
nessun luogo, nessuna persona che rimarrà indietro in questo processo
di avvicinamento all’obiettivo.
Abbiamo preso coscienza tutti noi nel tempo sia dello stato di
degrado ambientale in cui versa il pianeta sia delle cause scatenanti:
continui disboscamenti per fare spazio alle praterie e agli
allevamenti, eccessivo consumo di carne, sfruttamento incontrollato
delle risorse, eccessivo utilizzo di energia di derivazione fossile,
scarso uso delle energie alternative, produzione industriale non
equilibrata riguardo all’utilizzo delle risorse e molto altro ancora.
È affascinante poter pensare che nei prossimi trent’anni si possa
realizzare una inversione di rotta a 360 gradi e che l’umanità
metta al bando ogni conflitto economico, politico e sociale e
raggiunga un obiettivo cosi sfidante.
È affascinante ma dobbiamo crederci se abbiamo a cuore le nostre sorti
e quelle delle generazioni future: dobbiamo lasciare in eredità un
pianeta in cui si possa continuare a vivere.
È anche facilmente intuibile che la digitalizzazione dei processi avrà
un ruolo fondamentale in questa sfida ma ci siamo mai posti la domanda
se anche la digitalizzazione inquina?
Può sembrare fuori luogo questa domanda in un momento così
complicato dove è indispensabile assicurare la crescita del
digitale e delle competenze necessarie a usarlo.
Al fine di sgombrare il campo da ogni dubbio, il digitale e la sua
crescita è indispensabile nell’ambito del Green Deal ma dobbiamo
anche essere consapevoli che non è la soluzione a tutti i mali e che
anche il suo uso corretto contribuisce ad abbassare l’inquinamento.
Riporto di seguito un interessante passaggio di un articolo scritto
da Guido Rancilio su Avvenire:

“… Non so quanti se ne siano accorti, ma in meno di due mesi siamo
passati da un eccesso all’altro. Persino coloro che consideravano il
digitale la causa di tutti i mali, hanno scoperto quanto sia utile.
Adesso però ci troviamo davanti al problema opposto.
Uno dei più grandi errori, infatti, che possiamo fare nel digitale –
insieme, come abbiamo accennato, a quello di considerarlo la causa di
tutti i problemi e dei mali che ci affliggono – è di viverlo come una
sorta di strumento magico. Qualcosa in grado di darci dei «super
poteri».
In tempi di pandemia, anche chi lo criticava aspramente ha scoperto
che con gli strumenti digitali a nostra disposizione possiamo fare
facilmente grandi cose. Ma è vero solo in gran parte. Perché gli
strumenti digitali permettono davvero di fare (abbastanza facilmente)
molte cose, ma la tecnologia da sola non basta mai. Avere scoperto le
dirette su Facebook e su Instagram o servizi per le videochat come
Zoom, è solo una parte della soluzione dei problemi …”

Il digitale dunque non è la causa di tutti i mali e nemmeno la
soluzione a tutti i problemi, ma è sicuramente indispensabile nel
cammino verso la roadmap #PianetaTerra2050.
Il digitale può contribuire all’inquinamento se comprendiamo ogni
fonte prodotta da tali strumenti.
Dobbiamo distinguere le due fonti di inquinamento digitale: quella
legata alla produzione di qualsiasi strumento digitale e l’altra
legata al funzionamento di Internet ma è certo che il settore
digitale emette anch’esso quantità significative di gas a effetto
serra, come le altre forme di inquinamento e di consumo di risorse.
Riguardo alla produzione degli strumenti digitali c’è la necessità di
estrarre materiali rari come ittrio e lantanio contenuti negli
schermi e nelle batterie. Riguardo al funzionamento di internet ci
sono miliardi di persone connesse che consumano energia e tantissimi
data center e server che utilizziamo per la gestione dei dati.
L’inquinamento digitale va affrontato in termini di riciclo dei
materiali utilizzati, di bilanciamento delle risorse, di fabbisogno
energetico da soddisfare con fonti di energie alternative.
In questi anni è fortemente aumentato l’e-commerce con conseguente
aumento dei servizi di logistica e di packaging: anche questo forte
aumento di inquinamento (trasporti su gomma, imballaggi di carta/
plastica da smaltire) dovrà essere gestito nei prossimi anni: si
parla di droni per le consegne e di soluzioni meno inquinanti per il
packaging.
L’Hashtag del nostro futuro è, quindi: #PianetaTerra2050,
Innovazione sì ma senza ricadute ambientali – la missione possibile
della transizione ecologica.

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