Puntare sulla trasparenza della PA significa anche intervenire sulla corruzione. Quali strumenti abbiamo per segnalare possibili illeciti?

 

Ufficio Stampa AIDR

Puntare sulla trasparenza della PA significa anche intervenire sulla
corruzione. Quali strumenti abbiamo per segnalare possibili illeciti?

di Arturo Siniscalchi, Vice presidente Aidr e Vice direttore generale
vicario FormezPA

La trasparenza e la lotta alla corruzione nelle pubbliche
amministrazioni stanno assumendo un ruolo sempre più rilevante. Il
Codice della trasparenza ha integrato e riordinato le disposizioni
riguardanti gli obblighi di pubblicità e di diffusione di informazioni
da parte dei soggetti pubblici. Ma non solo. Sono stati soprattutto
potenziati gli strumenti digitali di accesso dei cittadini alle
informazioni e ai dati degli uffici pubblici. E c’è stata ad esempio
l’introduzione dell’accesso civico ai documenti, un obbligo di
pubblicazione digitale da parte delle PA, oltre all’accesso libero,
alla stregua del Freedom of Information Act.
Il decreto-legge 34/2019, recante misure in materia di crescita, ha
introdotto alcune disposizioni sulla trasparenza degli atti pubblici.
In particolare, bisogna fare riferimento proprio al Codice della
trasparenza (D.Lgs. 33/2013) come corpo normativo unico per le
disposizioni in materia. Il Codice individua una ampia serie di
documenti e di atti la cui pubblicazione costituisce un obbligo da
parte delle PA. Tra questi, quelli relativi all’organizzazione, alle
attività delle pubbliche amministrazioni in merito alle risorse
pubbliche, comprese le informazioni degli immobili posseduti e della
gestione del patrimonio e alle prestazioni offerte sino ai servizi
erogati. I documenti, le informazioni e i dati oggetto di
pubblicazione obbligatoria sono pubblicati per un periodo di 5 anni.
Per renderli accessibili, vengono inseriti in un’apposita sezione
denominata “Amministrazione trasparente” che si trova nella homepage
dei siti istituzionali di ciascuna PA.
La nozione di accesso civico, ad esempio, prevede il diritto di
chiunque di richiedere alle pubbliche amministrazioni i documenti, le
informazioni e i dati oggetto di pubblicazione obbligatoria. Per
assicurare l’attuazione delle misure di trasparenza sono previsti
infatti due tipi di vigilanza:
• a livello diffuso;
• a livello centrale.
In relazione al primo aspetto, ogni amministrazione deve individuare
un responsabile per la trasparenza, che di norma coincide con il
responsabile per la prevenzione della corruzione previsto dalla legge
6 novembre 2012, n. 190 riguardante le “Disposizioni per la
prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella
pubblica amministrazione”.
A livello centrale, il controllo è affidato all’Autorità nazionale
anticorruzione che è titolare di poteri ispettivi nei confronti delle
singole amministrazioni. L’Autorità può ordinare l’adozione o la
rimozione di atti e comportamenti non idonei.
Tra le novità introdotte c’è la semplificazione, la nuova disciplina
in materia di obblighi di trasparenza riguardanti i titolari di
incarichi politici, ampliando così il novero dei soggetti interessati.
In un’ottica di semplificazione delle procedure, si sottolinea
l’abolizione dell’obbligo di adottare il piano triennale per la
trasparenza e l’integrità da parte di ciascuna amministrazione.
Ma tra le questioni prioritarie c’è senz’altro la lotta alla
corruzione, che andrebbe condotta anzitutto su un piano sostanziale,
non formale. Basti pensare che l’ammasso di regole e di procedimenti
amministrativi costringe oggi le PA a inondare l’Anac di richieste di
pareri, creando lungaggini e forti disagi per aziende e cittadini.
Piuttosto che inseguire degli adempimenti solo formali, è necessario
affrontare concretamente il problema.
In che modo? Si parla sempre più della segnalazione di illeciti nella
PA, ma il diritto/dovere da parte del dipendente pubblico di segnalare
comportamenti illeciti non può essere ascritto nella semplice
violazione dell’obbligo di fedeltà, secondo quanto riportato
nell’articolo 2105 del codice civile. Piuttosto è doverosa la
collaborazione del dipendente per far emergere fatti illeciti o
illegittimi, di interesse collettivo.
Un problema già sottoposto più volte al vaglio della magistratura ma
che impone l’impegno di tutti al fine di rendere più funzionali gli
apparati riducendo il carico burocratico e di diffondere la
digitalizzazione.
C’è dunque l’esigenza di rafforzare la posizione di indipendenza per
coniugare idoneamente legalità, imparzialità ed efficienza nelle
amministrazioni locali, nel rispetto delle linee strategiche proposte
dal governo.
Ciò chiaramente passa anche per la modernizzazione delle politiche del
personale.
E per il cosiddetto whistleblowing, o segnalazione di un presunto
illecito, il sistema di prevenzione della corruzione introdotto
proprio dalla legge 190/2012.
Si tratta in sostanza del sistema dell’Anac per la segnalazione di
condotte illecite laddove per dipendente pubblico si intende chi vuole
segnalare illeciti di interesse generale e non di interesse
individuale, di cui sia venuto a conoscenza in ragione del rapporto di
lavoro, in base a quanto previsto dall’art. 54 bis del d.lgs. n.
165/2001 così come modificato dalla legge 30 novembre 2017, n. 179.
Ciò riguarda anche il dipendente di un ente pubblico economico, ovvero
il dipendente di un ente di diritto privato sottoposto a controllo
pubblico ai sensi dell’art. 2359 del codice civile. Inoltre la
disciplina del whistleblowing si applica anche ai lavoratori e ai
collaboratori delle imprese fornitrici di beni o servizi che
realizzano opere in favore dell’amministrazione pubblica. Registrando
una apposita segnalazione sul portale dell’Anac
(www.anticorruzione.it) si ottiene un codice identificativo univoco,
il “key code”, da utilizzare per “dialogare” con Anac e per essere
costantemente informato sullo stato di lavorazione della segnalazione
inviata.
L’Autorità, qualora ritenga la segnalazione fondata nei termini
stabiliti dalla determinazione n. 6 del 28 aprile 2015 contenente le
“Linee guida in materia di tutela del dipendente pubblico che segnala
illeciti”, può avviare un’interlocuzione con il responsabile della
prevenzione della corruzione e della trasparenza (RPCT)
dell’amministrazione oggetto di segnalazione o disporre l’invio della
segnalazione alle istituzioni competenti, quali ad esempio
l’Ispettorato per la Funzione pubblica, la Corte dei conti, l’autorità
giudiziaria, la Guardia di Finanza. Chiaramente l’Autorità, in base
alla normativa vigente:
• non tutela diritti e interessi individuali;
• non svolge attività di accertamento/soluzione di vicende soggettive
e personali del segnalante, né può incidere, se non in via indiretta e
mediata, sulle medesime;
• non può sostituirsi alle istituzioni competenti per materia;
• non fornisce rappresentanza legale o consulenza al segnalante;
• non si occupa delle segnalazioni provenienti da enti privati.
Grazie all’utilizzo di un protocollo di crittografia che garantisce il
trasferimento di dati riservati, il codice identificativo univoco
ottenuto a seguito della segnalazione registrata sul suddetto portale
consente al segnalante di “dialogare” con Anac in modo anonimo e
spersonalizzato. Ciò significa anche che il livello di riservatezza è
aumentato rispetto alle pregresse modalità di trattamento della
segnalazione.
Per tale motivo coloro che hanno introdotto la propria segnalazione
dopo la data di entrata in vigore della legge n. 179/2017 tramite
altri canali (telefono, posta ordinaria, posta elettronica,
certificata e non, protocollo generale), possono utilizzare
esclusivamente la piattaforma informatica. D’altronde, l’utilizzo di
tale piattaforma garantisce anche una maggiore celerità di trattazione
della segnalazione stessa, a garanzia di una più efficace tutela del
whistleblower (segnalatore di illeciti).
Per questo, e per altri motivi, il futuro della PA passa soprattutto
per la digitalizzazione.

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