VIOLENZA DONNE. CHIRURGA SAN BORROMEO MILANO: PIU’ FRATTURE E STROZZAMENTI. FONDAZIONE PANGEA: SANZIONI ANCHE PECUNIARIE.

INTERVISTA A MARIA GRAZIA VANTADORI, COMITATO REAMA E REFERENTE CENTRO ASCOLTO

Roma – “Mi mancava l’aria, cercavo di togliere le sue mani dal collo”. A dirlo e’ una delle donne che Maria Grazia Vantadori, chirurga del Pronto Soccorso dell’ospedale San Carlo Borromeo di Milano, accoglie, cura e salva. “E’ terribile ascoltare quella loro sensazione di morte imminente”, ha spiegato intervistata da DireDonne. In questo periodo di restrizioni per il virus, il grande pericolo e’ “l‘isolamento di queste donne”, che quando arrivano in ospedale, ha raccontato la chirurga, “spesso sono ancora in uno stato di limbo, non sanno ancora se vogliono andar via o restare con l’uomo che le maltratta”.
Dal Covid in poi e’ tutto diverso, tra i cambiamenti della vita sociale, familiare e la paura di accedere all’ospedale per il rischio di contagio. “Oggi arrivano donne che hanno sul corpo segni di aggressioni di maggiore violenza – ha spiegato Vantadori – vedo lesioni procurate da episodi di violenza maggiore come fratture al naso e molti tentativi di strozzamento”.
La chirurgia, che da 30 anni lavora in Pronto Soccorso, e’ nel “Comitato scientifico della rete REAMA (Rete per l’empowerment e l’auto mutuo aiuto delle donne), ed e’ “referente per il Centro di Ascolto Soccorso Donna dell’ospedale San Carlo Borromeo, che e’ di fatto il primo ‘sportello’ pubblico del territorio nazionale. Si chiamava un tempo – ha ricordato – Soccorso Rosa, nato da un mio progetto negli anni duemila e confluito poi in Soccorso Donna che unisce oggi due realta’: un Centro di ascolto e salute per le donne immigrate e il Centro che si occupa di maltrattamenti in ambito familiare. Queste due realta’ hanno due distinte equipe che lavorano in stretta simbiosi”.
Nel Centro che si occupa di violenza domestica “ci sono un’infermiera, le psicologhe, un’assistente sociale, io sono la referente del Pronto Soccorso e la responsabile di tutta l’Unita’ operativa semplice CASD (Centro ascolto soccorso donna), la dottoressa Hassibi Parvaneh”. Il ruolo di Vantadori e di tutto il Centro e’ quello di essere “trade union tra l’ospedale pubblico e il sociale, la rete antiviolenza di Rozzano e di Milano, dove queste donne vanno indirizzate e prese in carico”. Al Pronto soccorso, questo soprattutto prima del Covid, le donne “arrivavano accompagnate da amici, familiari o Forze dell’Ordine – ha detto la chirurga – E quando arrivano sono li’ per farsi refertare. A differenza di altre violenze la lesione fisica e’ per forza leggibile, in questo senso la violenza sulle donne e’ un problema sanitario e non solo sociale. Arrivano in ospedale con sentimenti contrastanti: rabbia, tristezza, dolore fisico”. Nel segno lasciato dal pugno, dal tentativo di strangolamento c’e’ “la lesione da refertare” ha sottolineato Vantadori, ma “c’e’ una richiesta d’aiuto che va anche oltre. Spesso poi ci sono i figli che a tutto questo hanno assistito”. Oggi “con l’online e’ tutto piu’ difficile. Noi come Centro – ha detto Vantadori – abbiamo in carico 150 pazienti che supportiamo. Aspettiamo che siano loro a chiamare e sanno che possono venire in qualsiasi momento. Il mio ospedale ha un’utenza di circa 400mila persone, immaginarsi quanto sommerso c’e’- ha detto- Quelle 150 sanno gia’ cosa vogliono, hanno gia’ un percorso, ma per tutte le altre, oggi piu’ che mai, e’ complicato. Le campagne che ci sono non sono sufficienti e a mio avviso- ha concluso la chirurga- la violenza va intercettata all’asilo, anche nella consapevolezza delle bambine, e alle elementari. Nell’adolescenza e’ gia’ tardi“.
L’INVISIBILITA’ NON E’ UN SUPER POTERE
“La fantasia sadica degli abusanti e’ orrenda: minacciano di toglierti i figli, oggi con la storia dell’alienazione parentale -ha detto la chirurga, che accoglie le donne in Pronto Soccorso- oppure ti uccidono la pianta che ami, il cane, ti buttano i libri” e molto altro ancora. Quello di Maria Grazia Vantadori e’ il racconto di una donna che vive in prima linea, in trincea dove vede la violenza nelle ferite, negli ematomi, nelle ossa fratturate delle donne che subiscono maltrattamenti e abusi.
Proprio le radiografie, insieme alle fotografie e alle frasi testimonianza di Marzia Bianchi per il progetto creativo ‘L’invisibilita’ non e’ un super potere’ – che anche DireDonne ha scelto di pubblicare nel mese di novembre, a partire da oggi- diventano un modo per “sfiorare” cosa sia l’abisso della violenza. “Non e’ una mostra- ha chiarito Vantadori- e’ l’esibizione di una realta’ per far capire cosa sia un maltrattamento. I corpi parlano e noi, in Pronto soccorso, leggiamo i corpi. Nessun sensazionalismo, avrei potuto mettere il cervello esploso in un cranio da un marito geloso, ma non l’ho fatto”.
LANZONI (PANGEA): NUOVA REGOLA ODG SU RISPETTO GENERE NON BASTA
“È NEUTRO, PARLA DI PERSONE; PIÙ IMPEGNO SU RETI TERRITORI, RIVEDERE CODICE ROSSO”
Roma – “Bene, ma non basta”Simona Lanzoni, vicepresidente della fondazione Pangea e coordinatrice della Rete di auto-mutuo aiuto Reama – che conta, oltre a centri antiviolenza (cav) e case rifugio, due sportelli online – ne e’ convinta: l’articolo 5 bis che dall’1 gennaio prossimo sara’ aggiunto al Testo Unico che regola la deontologia dei giornalisti sul rispetto delle differenze di genere “non e’ assolutamente sufficiente- dichiara in un’intervista all’agenzia di stampa Dire- perche’ e’ neutro e non assume ancora una volta il dato di fatto che la violenza basata sul genere colpisca in maniera sproporzionata le donne”.
Proprio fondazione Pangea-Reama il 13 novembre scorso avevano proposto con una nota di prevedere “una sanzione pecuniaria alle testate giornalistiche che continuano a pubblicare senza vergogna titoli e articoli che negano i reati di violenza commessi dagli uomini sulle donne“. “Circa il 70-80% di chi vive violenza e’ donna- ricorda Lanzoni- eppure nel nuovo articolo le donne non vengono mai citate. Si parla genericamente di ‘persona’, non di persone ree e, soprattutto, non di chi subisce il reato. Perche’ si parla genericamente di ‘dignita’ della persona?’- si interroga la vicepresidente di Pangea- Doveva esserci ‘dignita’ della vittima’ o, se non vogliamo usare la parola ‘vittima’, ‘dignita’ di chi ha subito violenza’”.
Dalla narrazione mediatica, infatti, passa una buona parte di quei llenti “processi culturali” che dovrebbero portare a una nuova lettura del fenomeno della violenza di genere e che “ogni tanto vanno aiutati. Ecco perche’ chiediamo sanzioni pecuniarie- rilancia Lanzoni- Mi chiedo, per chi non seguira’ questo nuovo articolo, che cosa succedera’? Perche’ la rivittimizzazione che vivono le donne e’ molto chiara, vengono giudicate pubblicamente prima ancora che in un processo”. E allora uscire “dalla piazza virtuale in cui il fenomeno della violenza sulle donne si fa chiacchiera” infarcita degli “stereotipi piu’ beceri”, potrebbe rappresentare un nuovo inizio, come pure “che i direttori dei giornali smettano di inseguire i like, minimizzando la violenza, e comincino a pensare di avere anche un ruolo educativo dell’opinione pubblica”.
Piu’ concreto e meno retorico dovrebbe essere, secondo Lanzoni, anche l’impegno istituzionale per un potenziamento delle reti antiviolenza, in vista di un 25 novembre in semi-lockdown in cui assistiamo a “un’occupazione del territorio virtuale, senza che, di fatto, qualcosa sia veramente cambiato” dall’inizio dell’emergenza Covid-19. “In questo momento- aggiunge la coordinatrice di Reama- non e’ migliorata la risposta nella presa in carico della violenza ne’ il coordinamento delle reti territoriali, e il Next Generation EU non ha delineato politiche integrate e sistemi di raccolta dei dati amministrativi dei diversi ministeri coinvolti sulla violenza, come richiesto dalla Convenzione di Istanbul e dalle raccomandazioni del Grevio (Gruppo di esperte sulla violenza contro le donne del Consiglio d’Europa) di inizio 2020”. Le donne nel frattempo continuano a vivere “un appesantimento generale della propria condizione- fa notare-: presenti nei settori economici piu’ in crisi, come il turismo e il lavoro di cura, e piu’ esposte nelle situazioni di violenza a causa dell’aumento dei fattori di rischio, dall’abuso di alcol e droghe, al precariato del lavoro, alla cassa integrazione, tutti fattori che fanno aumentare le tensioni tra le mura di casa”.
E allora, cosa fare per non rendere questo 25 novembre una ricorrenza di maniera? “Bisognerebbe fermarsi e fare un lavoro di confronto serio su cosa manca per affrontare il problema della violenza maschile contro le donne- risponde Lanzoni- Sono evidenti i gap, occorre riprendere le raccomandazioni del Grevio per quanto riguarda le forze di polizia e il settore socio-sanitario, e il percorso di empowerment va rivisto. Va ripensato tutto non piu’ sugli schemi del pre-lockdown, perche’ le sfide saranno comunque maggiori e i vuoti istituzionali e della societa’ civile sono stati evidenti”. Ad esempio, “ci e’ capitato di ascoltare donne per cui il primo cav era troppo lontano. Ben 96 donne su 100 cercano reti territoriali come forze dell’ordine, Pronto Soccorso, Servizi Sociali, avvocati di riferimento, ma non sempre trovano risposte adeguate e persone competenti perche’ mancano politiche integrate. Non ci puo’ essere un solo soggetto che si fa carico del problema, devono essere piu’ di uno – avverte Lanzoni – Servono tavoli coordinati dove mensilmente si incontra chi e’ sul territorio, dove tutti sappiano come si prende in carico una donna e come si deve far uscire dalla violenza, perche’ tutte le donne in Italia devono avere il diritto di uscirne, non solo chi ha un centro antiviolenza vicino”.
Ma ci sono anche altre tare che per la vicepresidente di fondazione Pangea vanno affrontate con urgenza: “La situazione del nostro settore giudiziario, in particolare civile e minorile, in questo periodo e’ un disastro, con i rallentamenti dovuti a tribunali bloccati che fermano le donne e dilatano la storia di violenza – denuncia – E poi sta crescendo la sfiducia delle donne nei confronti delle istituzioni, perche’ sono sempre di piu’ gli uomini che riescono a ottenere sconti di pena grazie a quattro incontri nei programmi per maltrattanti- conclude- Ascoltiamo le avvocate esperte cosa hanno da dirci e quali sono i risultati a poco piu’ di un anno dall’entrata in vigore del Codice Rosso, che, sotto questo aspetto, va assolutamente rivisto”.

Agenzia DiRE  www.dire.it

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